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15 gennaio 2014

SIAE: Società Italiana Autori Estorsioni

Capitolo 1. L'iniquo compenso


Leggendo le ultime dichiarazioni di Gino Paoli riguardo la proposta SIAE sull'aumento dell'equo compenso, provo un senso di incredulità e ingiustizia. Forse non tutti sanno che Gino Paoli, alla veneranda età di 79 anni, nato sotto bandiera monarchica e onorevole dal 1987 al 1992, della SIAE è Presidente.

Per chi non lo sapesse l'equo compenso è quel meccanismo per cui, dato che una persona che compra un cd musicale lo può convertire in mp3 senza riacquistare le stesse canzoni in differente formato, si prestabilisce che l'autore abbia un mancato guadagno e quindi abbia diritto a un equo compenso. In realtà, questo meccanismo si dovrebbe piuttosto chiamare "iniquo compenso", essendo nient’altro che l'ennesimo pizzo estorto dalla SIAE. Se infatti nel comprarmi un brano, sia esso su cd o mp3 o qualsiasi altro supporto, acquisisco una licenza ad uso personale per il suo ascolto, non si capisce perché dovrei pagare un sovrapprezzo per la conversione dello stesso brano in altri formati o la trasposizione su un altri supporti, quando sarò sempre io il fruitore dello stesso brano e della licenza ad esso connessa. Tanto più se la copia privata è legale e quindi riconosciuta come mio diritto.

Nonostante Gino Paoli dichiari "che non è una Tassa, ma il compenso che si riconosce agli autori", gli effetti di tale meccanismo non cambiano: il risultato è sempre un aumento generale dei prezzi dei prodotti sul quale questo grava. CD vergini, memorie di massa, telefonini, indipendentemente che vengano usati per una copia privata oppure per archiviare le foto delle vacanze o per fare chiamate, tutti hanno subito un sovrapprezzo (e potrebbero subirne uno ulteriore) e tutti lo hanno dovuto pagare. Compresa mia zia che non sa neanche cosa sia un mp3. Da sottolineare inoltre che il compenso non è esentasse e che ben il 22% di questo è destinato allo Stato. Inoltre, l'avvento di nuovi dispositivi digitali e mobili dovrebbe essere visto come un’ulteriore occasione per far crescere la cultura, aumentandone il mercato e quindi gli introiti. Ma forse questo è un ragionamento troppo avanzato per il Presidente della SIAE che preferisce disincentivare la diffusione di tali apparecchiature (e quindi di nuove possibilità per la cultura), per un’entrata sicura e immediata.

Sempre Paoli tiene a precisare che: la "SIAE ha solo l’obbligo di raccogliere e ripartire, non avendo alcuna provvigione se non il recupero delle spese". Ma quando si legge che l'introito attuale di tale compenso è di circa 300 000 euro l'anno e la SIAE è indebitata per circa 1 miliardo di euro...come diceva Lubrano, una domanda sorge spontanea: non è che vogliono far pagare a tutti i cittadini il loro fardello? Considerando poi che più di 700 milioni di debito sono nei confronti degli associati stessi, son gran parte soldi che "escono dalla porta ed entrano dalla finestra".

Il presidente SIAE definisce poi "incomprensibilmente schierati con le aziende multinazionali che producono gli apparati tecnologici" coloro che non sono d'accordo con l'aumento dell'iniquo compenso, non ricordandosi che l'aumento lo pagano i consumatori e non le multinazionali, e che l'adeguamento alle tariffe di Francia e Germania avrebbe senso solo e se i servizi offerti dalla SIAE fossero al livello dallo standard europeo. Ma questa è un'altra storia. Per ora vorrei solo ricordare che se guardiamo all'Europa, dovremmo anche ricordarci la decisione Antitrust della Commissione Europea del 2008 che proibisce "alle 24 società europee di gestione collettiva del diritto d’autore di limitare le possibilità di offrire i propri servizi ad autori e utilizzatori fuori dai propri territori di appartenenza." In sintesi vuol dire che le società europee di gestione di diritti d'autore, sfruttando i loro monopoli, si son spartiti il territorio e, facendo cartello tra di loro, evitano di farsi concorrenza e favoriscono l'innalzamento dei prezzi. Come volevasi dimostrare, la proposta SIAE va proprio in questa direzione.

Paoli conclude poi con due favolose domande: "La prima: perché in Italia le tariffe degli smartphone sono a 0,90 centesimi, quelle dei tablet a 1,90 euro e quelle dei telefoni non smartphone a 0,90 centesimi mentre in Germania variano da 16 a 36 euro (secondo le capacità di memoria) e in Francia da 2,80 a 14,72 euro?
La seconda: “perché gli autori, gli interpreti esecutori e i produttori di contenuti del nostro Paese non possono avere pari dignità e devono continuare a produrre opere dell’ingegno senza avere adeguato compenso e quindi continuando ad essere figli di un dio minore?"

Alla prima penso che l'articolo abbia già risposto, alla seconda mi si permetta la scortesia di rispondere con un altro paio di domande. Perché gli autori, gli interpreti esecutori e i produttori di contenuti del nostro Paese non possono avere pari dignità dei loro colleghi americani che hanno la libertà di scegliere i servizi che meglio a loro si adeguano tra ben 3 collective society? Considerando che la SIAE non riesce poi a garantire al 60% degli autori neppure la “restituzione” di poche centinaia di euro che incassa ogni anno per l’erogazione dei servizi di intermediazione, chi è ora il figlio di un dio minore?!


Daniele Spera

1 commento:

  1. Senza contare che via via si stanno aggiungendo sempre più ai file multimediali i DRM che sono dei microprogrammi che fanno varie cose da registrare il nome di chi ha acquistato il file (negli usa sono riusciti a risalire ad un DJ che ha preso un disco campione e lo ha girato nel ''mondo p2p'') a bloccare il numero delle riproduzioni ad un certo numero o ad una certa data o addirittura contare il numero delle volte che un brano è stato trascritto su cd e bloccare il lettore (iTunes blocca a 7 le copie possibili). Tra l'altro come si pone questa microgabella con un sistema come quello di iTunes? Devo pagare per una vita di copie quando oltre 7 non ne posso fare? Mistero.

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