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23 giugno 2014

Iniquo compenso, la vittoria mutilata

I provvedimenti si firmano di sabato pomeriggio, durante le partite dei mondiali, così magari la gente non se ne accorge...o forse no. L'Italia perde contro il Costa Rica, gli italiani perdono, per l'ennesima volta, contro i poteri forti, il clientelismo, il far cassa facile a discapito dei soliti onesti.

Il provvedimento in questione formalmente tratta dell'adeguamento dell'equo compenso dei diritti d'autore sulle memorie digitali, in pratica si tratta di un aumento fino al 500% di una quota che i produttori di dispositivi con memorie (smartphone, macchine fotografiche, tablet, computer etc) e memorie di massa devono pagare per poter vendere i loro prodotti basata sul principio che tu possa non comprarti la stessa canzone due volte per ascoltare un brano acquistato per esempio sia su telefono che su computer...un pò come mettere un sovrapprezzo alle macchine per poter percorrere due tipi di strade diverse senza dover acquistare un'altra stessa macchina. Il ministro Franceschini ci tiene a ribadire che non è una tassa...ma in altri contesti si chiama pizzo.


30 maggio 2014

La scintilla di Fare

Travolti dal vento europeo, dal populismo grillino e dalla paura anti-grillina. In un'Europa euroscettica, in un'Italia atipica renziana molto prima che di sinistra. Spettatori (inermi) del disgregamento della destra e del crollo del Berlusconismo, di un terrore a 5 Stelle che ha costruito, urla su urla, piazza su piazza, il trionfo (con distacco abissale) del PD.

Tentando invano di placare e contrastare con ricette e concretezza la deriva No Euro (leggasi Lega al 6%) e la nascita di un Nuovo Centro Destra (4,38%) che non può rappresentare quello che il suo nome reclama, no. E rimane prioritaria la costruzione di un nuovo polo liberale inesploso sotto le macerie di una rivoluzione attesa dal lontano '94. Benché realisticamente l'identificazione di solidità assunta da Renzi, capace di calamitare voti di tutte le "razze", l'ha dotato di un'etichetta e di un bacino ad ampio raggio.

23 maggio 2014

Euro tutela contro il Leviatano

In concomitanza con le elezioni europee, si sta inasprendo il dibattito attorno alle cause del pluridecennale declino italiano. Ogni partecipante alla campagna elettorale ha un sua ricetta particolare che, se applicata, riporterebbe crescita e benessere al paese.

Le varietà di queste acque miracolose sono delle più varie: vi rientrano, a mo’ di esempio, stampanti treddì, aumenti di spesa, vivisezioni di cani, dazi e barriere all’immigrazione. Il rimedio per eccellenza, quello proposto in gran pompa da ormai tutta la casta, consiste nell’abbandono della moneta unica europea, per ritornare alla compianta Lira. Al lato “destro” dello schieramento, si propone un uscita “tout-court” dalla moneta unica. Alla sinistra del PD, si vuole qualcosa di più discreto, ovvero uscire solo dai trattati che limitano la possibilità di spesa. Solo riacquistando la possibilità di spesa illimitata, si può ridare benessere ai cittadini. Il MoViMento di Grillo cerca, come al solito, di tenere il piede in due scarpe, e propone una via di mezzo ai due.
In questo articolo non voglio discutere se l’abbandono dell’euro sarebbe conveniente o meno, tema gia ampiamente discusso su questo ed altri blog. Più che altro, mi interessa discutere una particolare proposizione della vulgata populista di cui sopra: uscire dall’euro è davvero un bene per il popolo, per l’italiano medio? Cerchiamo di capire perché la casta, nella sua interezza, volle entrare nell’euro ad inizio anni novanta e perché, nella sua interezza, voglia uscirne ora.

Ad inizio anni ’90, l’Italia sta affrontando una importante crisi, che sfocerà con l’uscita del paese dallo SME. Le incertezze sul futuro economico del paese, che aveva finanziato la sua crescita negli anni precedenti creando uno dei debiti più consistenti del pianeta, avevano portato un’impennata al livello dei tassi di interesse reali che gli investitori richiedevano per acquistare titoli di stato Italiani. Da un lato, vi erano grossi dubbi sul fatto che l’Italia fosse in grado di contenere la sua spesa pubblica: dall’altro, si temeva che il governo avrebbe giocato sulla leva del cambio e dell’inflazione per ridurre il valore del proprio debito. Il grafico sotto mostra il problema: le aspettative degli investitori si stavano auto-avverando, e l’Italia, dal ‘91 al ’96, paga tassi di interessi a reali a dieci anni fra il 5 e l’8%. Una situazione non sostenibile nel medio periodo.
Come riuscire a cambiare le aspettative degli investitori? L’Italia aveva una sola opportunità per farlo: aderire al progetto Euro. In quegli anni stava iniziando il disegno della moneta unica. Aderirvi significava, oltre alla rinuncia all’utilizzo della politica monetaria, grandi limiti a quella fiscale. I governi di allora colsero la palla al balzo e, a suon di aumenti di tasse, patrimoniali, riforme delle pensioni, riuscirono a convincere i nostri partner europei che l’Italia era un paese riformabile. Quando divenne chiaro che l’Italia sarebbe entrata nell’euro, i tassi di interesse crollarono, arrivando a sfiorare l’1% nel 2003. Quasi un sesto del picco del ’95. 


Il paese, a costo di grandi sacrifici, era salvo. Il crollo del tasso di interesse aveva portato grandi risparmi di spesa, data la mole consistente del nostro debito pubblico. Purtroppo, l’allentamento della disciplina imposta dai mercati finanziari, e l’arrivo di un cospicuo dividendo già pagato dagli italiani a suon di balzelli, congelò le azioni prese dai nostri governi per risanare il paese. Come mostrano i grafici successivi, la produttività langue, il deficit si allarga, e la spesa ordinaria aumenta specularmente a fronte della riduzione della spesa per interessi. In soldoni, il “dividendo dell’Euro” viene usato dalla casta per mantenere in piedi un baraccone corrotto ed inefficiente, foraggiando i vari Lusi, Batman e Belsito.  


Ora, a vent’anni di distanza dalla crisi del ’92, l’Italia rischia di dover uscire di nuovo dall’unione valutaria europea. Con la crisi del debito sovrano ed i più stringenti vincoli di Maastricht, l’Euro è diventato un vincolo alla spesa. Finora, come un cieco uroboro, lo Stato è sopravvissuto divorando se stesso. Ma il gioco non regge più. Non potendo alzare ulteriormente le tasse, e non essendo in grado di riformarsi, l’unico modo che ha di finanziarsi è trasferire ricchezza dal futuro, ovvero indebitarsi. Ma se la storia insegna qualcosa, non possiamo aspettarci che quei soldi vengano usati a favore dei cittadini: al contrario, verranno usati per dissetare l’insaziabile leviatano…fino alla prossima crisi.

Il 25, votare contro l’Euro vuol dire votare contro l’unica tutela che il cittadino ha nei confronti del proprio governo.


Giandomenico Ciccone

20 maggio 2014

L' incubo grillino e il sogno liberaldemocratico

Nella serata di ieri ho avuto la netta e clamorosa impressione di vivere, per un' insolita sequenza di eventi e situazioni, un vero e proprio incubo politico. Tralasciando il fatto che ricorreva il secondo anniversario della notte in cui un violento terremoto si è abbattuto sulla mia Emilia, in televisione è riapparso, dopo un ventennio di assenza dalle dirette Rai, il leader del Movimento 5 Stelle Beppe Grillo nella trasmissione di Bruno Vespa "Porta a Porta".

Proprio qui comincia il brutto sogno: colui che da vent'anni critica la televisione e la qualità dell'informazione italiana, si presenta nel talk show condotto da un giornalista che per lo stesso lasso di tempo non è stato certo un esempio da seguire in quanto ad imparzialità , poiché vero e proprio "zerbino" di Berlusconi e dei governanti di turno. I più attempati di me ricorderanno con certezza le sviolinate di Vespa ad un Cavaliere in cattedra che prometteva agli italiani i punti del famoso contratto, poi completamente disatteso.

Nella stessa sera ho inoltre partecipato all'ultimo consiglio comunale del mandato 2009-2014 nel mio paese (San Felice sul Panaro) ed ho scoperto che il Movimento 5 Stelle è fondamentalmente irrispettoso e antimeritocratico. Ad un certo punto uno dei presenti, conosciuto per essere presente in una lista civica che si ispira al M5S, se ne esce con un "Sindaco, dici cazzate!", a seguito di una dichiarazione di quest'ultimo, con conseguenti parole pesanti.

Proprio qui invito a riflettere tutti i lettori. La sparata del grillino, che dal mio punto di vista è l'esatta fotografia del livello di dibattito politico all'interno del movimenti, non è indice di merito poiché chiunque, anche un analfabeta totalmente incompetente in amministrazione comunale, avrebbe potuto farla, senza di fatto risolvere il problema della ricostruzione post terremoto. Sempre dal punto di vista di chi vi scrive, sono senza dubbio più meritevoli le interrogazioni dei consiglieri di opposizione e le relative risposte degli assessori, che si battono in maniera costruttiva per ri-costruire un paese migliore per i cittadini nella loro totalità.

Proprio qui mi sento di concludere, immaginando un possibile scenario post elettorale con un parlamento europeo popolato da questi tipi di esponenti politici che esprimono livelli di dibattito politico non dissimili da quelli a cui ho avuto il (dis)piacere di assistere nella serata di ieri.
Al risveglio da questo brutto sogno ricordo però di un certo Guy Verhofstadt , ex premier belga convintamente liberale, che sembra anche essere carismatico al punto giusto. Forse è il caso di informarsi bene...


Nicolò Guicciardi

15 maggio 2014

Guy Verhofstadt, il nostro candidato

Guy Verhofstadt. Chi è?

Questa era la domanda che i primi sostenitori di Scelta Europea si facevano. Ricordo come se fosse ora gli errori nello scrivere e nel pronunciare correttamente il suo nome, il chiedersi perché candidare alla Commissione Europea un belga e non un italiano, i dubbi sui suoi capelli (ma è un parrucchino??). Io lo conoscevo da parecchio tempo, avevo letto i suoi libri e le sue proposte, mi veniva da ridere. Poi abbiamo iniziato tutti a leggerlo, a vederlo nei video, a fare il tifo per lui agli incontri pubblici, ad applaudirlo, a chiamarlo "presidente". Perchè è questo che è, Guy Verhofstadt. Il nostro presidente. Il presidente del nostro eurogruppo, l'Alleanza dei Liberali e Democratici per l'Europa (ALDE).

Verhofstadt nasce a Dendermonde l'11 aprile 1953 e inizia rapidamente la sua carriera politica, quando nel 1972 viene eletto presidente dell'unione degli studenti liberali fiamminghi a Gand, una città belga. Un esempio, il suo, che tutti gli universitari italiani dovrebbero seguire: pensate che alle elezioni universitarie del mio ateneo solo meno del 20% degli aventi diritto ha votato... Ormai la politica universitaria è decisamente sottovalutata, ma così non dovrebbe essere: è pur sempre la prima esperienza "sul campo". Tornando al nostro Guy, arriva finalmente la laurea, nel 1976, in giurisprudenza. E' poi un succedersi di elezioni, che lo porteranno da membro del consiglio comunale di Gand fino ad arrivare alla nomina a Primo Ministro belga, nel 1999. Con che partito? Beh, il nostro mitico Verhofstadt non poteva che fondarsene uno suo, nel 1992: il Vlaamse Liberalen en Democraten (i Democratici e Liberali Fiamminghi, abbreviato VLD). Pensate un po': il VLD nasce come partito fortemente thatcheriano! Un bene o un male? Io un' idea ce l'ho, ma non voglio creare inutili discussioni, perché con il tempo il partito è diventato più moderato, spostandosi su una linea più sociale e solidaristica (pur restando nella famiglia del centrodestra belga). C'è da dire che Guy inizialmente non era un europeista convinto. Esatto, avete capito bene! Ma a quanto pare, l'aria che si respira nel Parlamento Europeo gli ha fatto cambiare idea, almeno quella che si respira tra i banchi del gruppo ALDE.

Consiglio a tutti la lettura del libro "Per l'Europa! Manifesto per una rivoluzione unitaria", (Mondadori, 2012) scritto con Daniel Cohn-Bendit, del gruppo dei Verdi. In questo libro, che vale mille spot elettorali, troverete il progetto che questi due signori hanno per l'Europa di domani (sono i fondatori del Gruppo Spinelli, fondato nel 2010 per il rilancio dell'integrazione europea): un'Europa di domani che sia federata, sia dal punto di visto economico sia da quello fiscale, ma soprattutto dal punto di vista politico. E' questa la chiave proposta fondamentalmente da Verhofstadt e dall'ALDE, la chiave che potrebbe spalancare la porta della crescita e del rilancio europeo. Un'Europa che parli con una sola voce al tavolo dei grandi, un'Europa che vigili e risolva il problema dei clandestini unendo gli sforzi dei vari reparti di sicurezza nazionali, un'Europa che apra un'area di libero mercato con gli Stati Uniti (dobbiamo essere fieri di essere atlantisti!), un'Europa che salvaguardi la privacy dei suoi cittadini, un'Europa che difenda i diritti e le libertà civili di tutti ma proprio tutti, un'Europa che difenda l'ambiente e che promuova la green economy, un'Europa che sia laica nelle sue istituzioni e che sia simbolo di onestà e rigore, un'Europa che sia faro di speranza per chi cerca opportunità di lavoro e di studio. Insomma l'Europa che vogliamo noi, di Scelta Europea.

Siamo fortunati ad avere un capitano coraggioso al timone della nostra nave: un leader carismatico, che risponde con pragmatiche proposte liberaldemocratiche al conservatorismo popolare e a quello socialista: rafforzare il ruolo della Commissione Europea, minor regolamentazione inefficiente nel mercato interno europeo, unificazione dei mercati digitali, leggi chiare in tema immigrazione come negli USA, giusto per citarne alcune. Proposte a cui gli altri candidati non sono in grado di dibattere, perché sanno che sono l'unico modo per uscire da questa crisi che da troppi anni ci perseguita. Non a caso Verhofstadt è risultato vincitore ad ampia maggioranza nei sondaggi, immediatamente dopo i due confronti televisivi.

Guy ha fatto tanto per noi italiani liberaleuropeisti. E' stato lui a volerci vedere uniti in un'unica lista, con un programma in comune, con la volontà di vincere in comune. Non dobbiamo deluderlo, abbiamo un debito in questo momento. E i debiti vanno saldati, il 25 maggio ma soprattutto DOPO. Costruiamo una forza unitaria liberale, una volta per tutte. E se non lo volete fare per Guy Verhofstadt, fatelo almeno per i vostri figli.


Daniel Baissero

14 maggio 2014

Fini liberali?

Torna oggi, dopo circa tre settimane di silenzio, il fatto del giorno su questo blog. Vista la lunga attesa, quello di oggi vuole essere un articolo che andrà fortemente controcorrente e che forse scatenerà un acceso dibattito tra i lettori.

Proprio ieri l'altro l'ex presidente della camera dei deputati , nonché leader del defunto Futuro e Libertà, Gianfranco Fini ha dichiarato che il suo voto alle imminenti elezioni europee andrà a Scelta Europea, coalizione che sostiene in candidato liberale Guy Verhofstadt alla presidenza della commissione europea.
Come si può immaginare, subito sono seguite notevoli fibrillazioni nei commenti di chi ha appreso questa notizia, specialmente tra gli elettori di Fare, uno dei partiti presenti nella coalizione liberale.

Ebbene si, proprio Gianfranco Fini, delfino dello storico e intramontabile leader del Movimento Sociale Italiano Giorgio Almirante, ora si dichiara liberaldemocratico. Detta così, questa trasformazione potrebbe suscitare nei lettori le più grasse risate schernitrici verso il declino inarrestabile di colui che aveva tutte le carte in regola per diventare il futuro leader della destra italiana.

Se però analizziamo più a fondo la parabola di Fini, appare con chiarezza che questa rappresenterebbe la strada ideale di "redenzione" di un elettore auspicata da Fare per Fermare il Declino e le altre forze a sostegno di Scelta Europea. L'ex delfino missino ha dimostrato grande maturità nel rendersi conto che gli assetti economici e sociali europei stavano subendo un inesorabile mutamento, specie in seguito all'adozione della moneta unica.  E che le idee e i programmi di stampo identitario e di estrema destra con il motto "dio patria e famiglia" a farla da padrone, ora reincarnate nei Fratelli d'Italia di Giorgia Meloni, non erano più al passo coi tempi e si sarebbe dovuto necessariamente virare verso idee plurali ed europeiste. Non è forse Scelta europea che sta intraprendendo di questi tempi una sacrosanta battaglia per aprire gli occhi a tutti quegli elettori obnubilati dalle sparate di Grillo e dei No Euro?

Gianfranco Fini è stato senza ombra di dubbio un personaggio controverso e criticabile su molti fronti, ma forse se la sua metamorfosi fosse stata capita, con ogni probabilità oggi in Italia avremmo un centrodestra moderno e votabile anche se con qualche difetto, in grado di farsi rispettare di fronte agli scenari europei e internazionali.



Nicolò Guicciardi 

12 maggio 2014

Rivoluzionari Veri

Trilogia delle battaglie per i valori assoluti (cap.III)

Alle volte capita a tutti noi di sentirci pesanti per colpa del fardello che ci portiamo sulle spalle. Come uno zaino enorme, simile a quelli che si usano per le escursioni e i campeggi. Una sacca piena di conoscenza, esperienza, vita vissuta, sogni, pensieri, un pizzico di mal di vivere, la gioia di alcuni momenti indimenticabili, lo stress della giornata odierna, la consolazione di pensare che domani andrà meglio. Una cartella piena del nostro passato che ci schiaccia la schiena e molte volte questa pesantezza ci riduce, di sera, a sprofondare in poltrona. Ma fuori dalla finestra di casa c’è troppo buon vino da bere per starsene seduti in salotto, annichiliti da ciò che siamo stati. Quindi il mio proposito di oggi sarà quello di cercare qualcosa che tutti possiamo buttare via per alleggerire lo zaino e poter quindi mescere il vino.

La cosa del nostro passato che oggi, noi Italiani, dovremmo buttar via è il totalitarismo nascosto in noi.
Intendo quello che dobbiamo ancora perdere, quello di odore fascista e che tuttora ci accompagna. Signori è questo che dobbiamo sforzarci di buttare via, il fascismo latente.  Il fascismo latente che accompagna gli italiani e in cui io rivedo uno dei problemi fondamentali di molti partiti. Ora la domanda giusta è: ‘Perché pensi che nel 2014 il popolo Italiano sia ancora un po’ totalitarista?’ E la risposta giusta è: ‘Perché è così.’  Ha dei residui, delle scorie tossiche, che si sono infiltrate nella sua mentalità e si sono mimetizzate perfettamente.   

Mi sono accorto di una di esse poco tempo fa, quando sentii, non ricordo bene su che mezzo d’informazione, che i partiti e gli italiani hanno bisogno di un leader forte.  Questa è una delle bugie più grosse che abbia mai sentito, perché gli italiani non hanno bisogno di un leader forte, loro vogliono un leader forte, che è cosa ben diversa. Si sentono persi, impauriti, stremati dalla crisi. Molti non capiscono, perché non hanno gli strumenti per capire, il complicato mondo dei giochi politici, o le reti di imbrogli e finissimi nodi della legge, oppure  i moti vorticosi e i flussi virulenti dell’economia. Davanti a questo sentimento che può essere accomunato solo all’angoscia terribile, lenta e corrosiva, molti  smarriti vogliono un leader forte che gli dica: ‘Hey tranquillo, adesso ci penso io’ .  Sapete perché questo è pericoloso? Perché i capi forti tranquillizzano, ma imbrigliando la volontà delle masse, le fanno restare nella propria ignoranza e le impigriscono, le allontanano dalla politica indirettamente, dato che chi vota il grande capo si fida di lui e lui sa già quello che deve fare, tu votandolo hai già fatto quello che potevi. Fine del tuo compito. Il grande capo da risalto, ma allo stesso tempo oscura il partito, infatti il suo gruppo di appartenenza politica diventa irrilevante nell’opinione pubblica, del resto a un grande generale spettano grandi poteri decisionali e detto questo cosa volete che contino i sottoufficiali rispetto a lui.  Quindi si parla sempre di lui, poche volte di quelli  che gli stanno dietro. Sulle ombre c’è poco da descrivere.

I grandi leader, per essere carismatici si presentano, poi, come salvatori, come persone che cambiano il giro, amplificando all’inverosimile il potere reale delle proprie soluzioni. Sono figure teatrali, animali da palco. Che dipingono un eden con le parole e poi vi dicono: ‘Se mi votate lo potete avere anche voi.’ Cari lettori avete notato che qua quelli che prendono più voti sono i partiti dei grandi leader? Sicuramente sì. Spero che insieme a questo abbiate notato anche che ai grandi capi non vanno a genio le persone che non vanno d’accordo con loro, all’interno del proprio gruppo politico.  E’ quasi scontato che mettano nei posti di rilievo strategico persone a loro favorevoli, che cerchino di portare a se persone a loro sfavorevoli e caccino da se chi, con volontà inamovibile, dà loro contro. Difficile in queste condizioni offrire il ricambio politico, necessario per combattere la disonestà, visto che la politica, per funzionare bene deve essere un mare scosso dalla tempesta. Nella tempesta le acque non imputridiscono mai.

E ora ditemi che, desiderare e sperare nell’entrata in politica di una persona del genere, non è una malcelata scheggia di fascismo che c’è rimasta nello zaino. Toglierla sarebbe da veri rivoluzionari, farsi abbindolare da essa no di certo. Per fortuna esiste, in questo paese, un partito che è privo di questo cancro e potete votarlo tutti quanti!

Questo partito è Fare per Fermare il Declino che non ha un leader forte e questo è uno dei più grandi pregi di  Michele Boldrin. Egli stesso non si concepisce come tale, infatti, come più volte ha ricordato, lui si definisce un traghettatore. Il marcare la temporaneità del suo ruolo toglie rigidezza alla sua figura e permette allo stesso tempo di percepire che all’interno di questo partito ci sono molte altre persone competenti quanto lui, in grado di ricoprire il suo ruolo. In questo modo permette al partito di crescere e proliferare, di rimanere attivo e vivace. Tratta il suo partito come un buon padre di famiglia, che vuole vedere suo figlio crescere sano, forte, e ricco di meriti. Non ha nessun interesse a metterlo in ombra e farsi potente servendosi di lui. Michele Boldrin non è un leader forte, ma lui è il leader di cui l’Italia ha bisogno. Chiaro, lucido, competente e non assetato di potere.
Se tra voi c’è qualcuno che vuole essere un rivoluzionario vero, cominci a togliere qualcosa dal suo zaino e votare per l’unico partito da ribelli. Fare per Fermare il declino.



Francesco Guidorizzi