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31 gennaio 2014

Ostruzionissimo

Se Robespierre vivesse in Italia nel 2014, probabilmente sarebbe fiero di avere lasciato il segno dopo tanti anni. Nella giornata di ieri l'altro si è assistito ad un provvedimento estremo sfruttato dalla presidentessa della Camera Laura Boldrini, chiamato appunto "ghigliottina" , che consente di procedere alla votazione in aula di un decreto senza far terminare gli interventi programmati dei deputati. Questo perchè l'ostruzionismo e le proteste vibranti del Movimento 5 Stelle avrebbero rischiato di fare decadere il decreto IMU - Bankitalia, poi approvato in extremis.

Altre situazioni caotiche si sono verificate ieri in Commissione Giustizia dove sono volate parole pesanti, pronunciate dal deputato pentastellato De Rosa, verso alcune esponenti del Partito Democratico e la rissa sfiorata tra gli onorevoli dem Stumpo e Fiano ed un gruppo di 5 Stelle. È infine stata presentata a Palazzo Madama una richiesta di messa in stato d'accusa del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, giustificata da diverse motivazioni, forse di stampo più politico che tecnico

La presidentessa della Camera Boldrini ha poi dichiarato di non avere mai assistito a nulla di simile nel corso della fase democratica dell'Italia, ed è su queste parole che è bene fare le riflessioni del caso.
Innanzitutto non è proprio vero che non si sia mai assistito ad episodi di ostruzionismo parlamentare estremo; basti pensare alle lunghissime sedute parlamentari causate dall'allora Partito Radicale nella prima repubblica. Semmai sono cambiati i modi, molto meno ortodossi e "politically correct", e il numero di esponenti che hanno attuato questa strategia (molto più numerosi degli allora Radicali).

In secondo luogo, analizzando la richiesta di impeachment verso Giorgio Napolitano, tra tutte le motivazioni ne spicca una senza dubbio sacrosanta, ossia il continuo consentire al governo di procedere frequentemente per decreti legge, che comporta spesso un mescolamento di argomenti al loro interno molto divergenti fra loro. Basti pensare infatti a quello che fu il "Salva Roma", in cui si nascondeva il famoso emendamentino riguardante il caso slot machines, e l'ultimissimo "IMU-Bankitalia", di cui personalità ben più competenti di chi vi scrive hanno già provveduto a spiegarne i tratti che fanno gridare allo scandalo.

Alla luce di queste proteste parlamentari, sicuramente non corrette in alcuni tratti, vi è però forse la possibilità e la speranza che questo paese possa cambiare. Se infatti come spesso si dice, il parlamento è lo specchio del paese, potrebbe forse cambiare il modo che gli italiani hanno di affrontare le ingiustizie che spesso questo paese regala. Forse, invece di reagire con la solita rassegnazione, arrendevolezza e frasi classiche come "tanto siamo in Italia, non cambierà nulla", gli italiani potranno rendersi conto che a volte, non rassegnarsi paga. Noi di Giovani per Fare ci stiamo provando. La speranza, come sempre, è l'ultima a morire.


Nicolò Guicciardi

30 gennaio 2014

Le teorie antieuro smontate con il buon senso - 3

Terza puntata: Balle spaziali, il signoraggio primario e secondario

Come promesso in questo articolo e nell’ultimo, che seguirà a breve, cerco di entrare più nel dettaglio delle teorie sostenute dagli antieuro.
Ora parlo un pò di signoraggio primario e secondario e nel successivo articolo proverò a cimentarmi relativamente all’uscita dall’Euro e alla supposta truffa del fondo salva-Stati.

Stando a quello che dicono “i signori del signoraggio” il debito pubblico non deriverebbe, come crediamo noi poveri allocchi, dal fatto che lo Stato costa troppo e spende molto, ma molto di più, di quello che è il Pil del paese e per coprire la propria spesa pubblica emette titoli di debito su cui poi paga lauti interessi (molti ricorderanno i rendimenti dei Bot e dei Btp al 25% negli anni Ottanta). Il debito pubblico sarebbe una, e uso le loro parole, “partita di giro” creata da un meccanismo molto semplice e volto a depredare gli onesti cittadini italiani: la banca centrale stampa danaro (e stampare una banconota da 100 euro pare costi più o meno un euro) poi di base lo “presta” allo Stato il quale poi ci paga sopra gli interessi. Quindi per ogni banconota da 100 la banca centrale guadagnerebbe 99 euro più gli interessi (questo “illecito” guadagno prende il nome di signoraggio primario). Questo infernale meccanismo produrrebbe il debito pubblico italiano. Il debito pubblico sarebbe dunque tutta colpa dell’Euro. Questa affermazione è una contraddizione già di per sé perché è noto a tutti che il debito pubblico italiano era già ingentissimo prima che l’Euro entrasse in vigore.
I dati Istat dicono infatti che in un decennio, dal 1984 al 1994, il rapporto debito/PiI è passato dal 74% al 122%. Che sia stata colpa dell’Euro anche in quel caso??? Ricordo che la moneta unica europea ha avuto corso legale a partire dal 1°gennaio 2002. Questa semplicissima constatazione metterebbe già fine all’articolo ma io faccio finta di niente e proseguo.

La soluzione che questi signori ci offrono è molto semplice: si tratterebbe infatti di rimpadronirsi della “sovranità monetaria”. Il che significherebbe uscire dall’Euro e conferire il diritto di battere moneta direttamente allo Stato; in questo modo il danaro verrebbe reso pubblico e il debito dello Stato praticamente annullato consentendo la creazione della liquidità per finanziare la nostra spesa pubblica che a quel punto potrebbe dunque non conoscere limiti, visto che, secondo loro, basta stampare pezzi di carta colorata per risolvere ogni problema.
Quella del signoraggio secondario si tratterebbe invece di una truffa ancor più sordida infatti essa non è perpetrata dalla banca centrale nei confronti dello Stato ma dalle banche commerciali nei confronti di ogni singolo risparmiatore.
Tramite il “moltiplicatore monetario” le banche infatti riuscirebbero di fatto a creare denaro virtuale che prestano e sul quale riscuotono gli interessi. Di base ci truffano prestandoci denaro che in realtà non esiste e poi pretendono gli interessi. Le proporzioni della truffa sarebbero vastissime infatti per ogni 100 euro che ognuno di noi mette sul proprio conto corrente la banca arriverebbe a prestarne ben 900. La soluzione proposta dai signoraggisti è anche qui molto semplice. Le banche dovrebbero comportarsi come salvadanai. Cioè dovrebbero limitarsi a custodire il nostro denaro o al più prestare quello che ne costituisce il capitale in modo tale da rischiare il loro danaro non quello dei risparmiatori o addirittura quello virtuale. In questo modo si accollerebbero il “rischio d’impresa” così da equipararsi a qualsiasi azienda privata.

Quello che questi signori dicono è totalmente falso in quanto le cose non funzionano affatto così: infatti non c’è nessuna “partita di giro” e nulla che assomigli alla biblica parabola dei pani e dei pesci. Mi limito a dire che non è vero che l’Italia abbia perso il proprio signoraggio a causa della cessione della facoltà di stampare carta-moneta alla BCE. Prova ne è che la BCE trasferisce regolarmente agli Stati membri il reddito da signoraggio in misura proporzionale ai conferimenti di ogni Stato alla banca stessa. La forte domanda di Euro ha addirittura aumentato i redditi da signoraggio che percepiamo. Nessuno prima domandava infatti la nostra liretta come riserva di valore. Voglio tuttavia tranquillizzarvi, stiamo parlando di quisquiglie: l’intero signoraggio nel quadro economico vale meno dell’1% del nostro PIL, nulla con cui si possa ripianare il debito pubblico, differentemente da quanto i demagoghi antieuro ci raccontano.

Voglio tuttavia ragionare per assurdo e prendere per vero quello che Beppe Grillo, Paolo Barnard e tutti costoro vanno dicendo. E non solo lo prendo per vero, ma mi spingo oltre, infatti chiedo qualcosa di più radicale. Che la facoltà di battere moneta non sia data allo Stato ma ai singoli cittadini. Siccome, secondo loro, la crisi si risolve immettendo danaro nel sistema economico propongo che ognuno di noi si stampi per conto proprio il danaro di cui ha bisogno. È evidente che se ciò fosse possibile converrebbe stare a casa a stampare soldi piuttosto che andare a lavorare in cambio di un misero stipendio. Contrariamente a quanto lor signori pensano questo non produrrebbe ricchezza ma miseria. L’economia ne uscirebbe distrutta e noi tutti ci troveremmo con dei pacchi di carta straccia per casa. La mia ovviamente è una provocazione ma serve a dimostrare che Grillo e i suoi amici nei loro sproloqui contro le banche brutte e cattive eludono un problema fondamentale: per creare ricchezza occorre creare lavoro, non carta colorata. Purtroppo non c’è nulla nelle loro teorie che porterebbe alla creazione di un solo posto di lavoro e parlo di lavoro vero, non quello finto e dannoso creato dall’assistenzialismo di Stato di cui l’Italia è vittima da decenni.

Veniamo ora al signoraggio secondario. Continuo a far finta che quello che i cari demagoghi dicono sia vero. Dunque per evitare che le banche brutte e cattive ci chiedano interessi a  fronte di danaro che non esiste occorre farle funzionare né più né meno come tanti grandi salvadanai. Ahimé qualcosa non torna nel loro ragionamento! Infatti se le banche fossero costrette a funzionare come salvadanai probabilmente non esisterebbero. Dal momento che non possono prestare soldi, non ne possono guadagnare. Quindi chi mai aprirebbe una banca? Ma anche ammettendo che qualche banca continuasse a esistere è evidente che il credito si restringerebbe drasticamente il che significherebbe che molto pochi potrebbero accendere un mutuo per comperare un’abitazione e che le imprese si vedrebbero negato il credito di cui hanno bisogno per stare in piedi e per espandersi. Ciò avrebbe effetti devastanti su un’economia che è già sulle ginocchia a causa anche della ristrettezza del credito.

Spero che questi miei semplici ragionamenti per assurdo siano sufficienti a dimostrare che le teorie signoraggiste, perlomeno dal punto di vista logico, sono una colossale marea di sciocchezze. La conclusione è dunque che questi signori mentono, per fortuna, ma anche se dicessero il vero, il loro rimedio è peggio della malattia e finirebbe per uccidere il paziente.
Alla settimana prossima!

Gabriele Galli, su gentile concessione de il Resto del Declino (ilrestodeldeclino.it)

29 gennaio 2014

4 Peccati da legalizzare: prostituzione, nozze omo, cannabis, eutanasia

Non rubare. Non uccidere. Non pronunciare falsa testimonianza contro il prossimo tuo. Solo tre dei dieci comandamenti dell’Antico Testamento, se violati, sono perseguiti dalla legge italiana. Perché, com’è giusto che sia, non tutti i peccati sono reati. “Date a Cesare ciò che è di Cesare, e a Dio ciò che è di Dio” diceva un pericoloso anticlericale nato quasi 2014 anni fa.

Mettiamo da parte la Bibbia quando parliamo di politica. Atteniamoci da liberali all’idea che la libertà di un individuo si ferma solo quando mette in pericolo o danneggia la libertà altrui. Seguendo questo laico canone, siamo sicuri che in Italia tutte le libertà individuali siano garantite? A mio modesto parere, almeno quattro non lo sono. Quattro peccati fuorilegge che dovrebbero essere legalizzati: prostituzione, matrimoni gay, vendita di droghe leggere ed eutanasia. Cerchiamo con ordine di capire perché, legalizzando, saremmo tutti un po’ più ricchi e molti sarebbero un po’ più felici.

Prostituzione: la libertà di disporre del proprio corpo in sicurezza.

La prostituzione non è forse il “mestiere più antico del mondo”, ma secondo Erodoto risale almeno all’antica Babilonia. Nessuna crisi del settore in vista, la prostituzione sopravvivrà probabilmente anche al ventunesimo secolo. Invece che tentare di proibirla, non sarebbe forse il caso di conviverci, nel modo più civile e sicuro possibile? La prostituzione, che persino nel Medioevo era regolamentata, non ha più regolamentazione in Italia dal 1958: la legge Merlin ne decretò l’abolizione e la chiusura delle “case di tolleranza”. In parole povere, pensando di debellare il problema, si chiusero i bordelli e si gettarono le prostitute nella strada, dandole in pasto alla criminalità organizzata. Per coerenza, si sarebbe dovuto punire prostitute e clienti con pene salate. Invece si decise di punire solo gli sfruttatori. La solita ipocrisia italiana che preferisce chiudere un occhio, piuttosto che prendersi responsabilità da una parte o dall'altra.


Riaprire le “case chiuse” e regolamentare il settore avrebbe diversi vantaggi. Primo, migliorerebbe le condizioni lavorative delle prostitute. Non più costrette a sopportare il freddo e i pericoli della strada, sarebbero sottoposte a controlli sanitari periodici. Ciò garantirebbe anche maggiore prevenzione dalle malattie veneree, a beneficio della salute del cliente. Secondo, rimpinguerebbe le casse dello Stato. Che piaccia o no, la prostituzione è un grande business: secondo la Commissione affari sociali della Camera del 2010 in Italia ci sono settantamila prostitute, 9 milioni di clienti, per un giro di affari di 5 miliardi di euro l’anno. Considerando che secondo il Centro Studi Confindustria, la tassazione sul lavoro complessiva è al 42,3%, dalla prostituzione lo Stato potrebbe racimolare un paio di miliardi l’anno, cioè metà della famosa IMU sulla prima casa. Se non si legalizza, parte di questi soldi continueranno a finire in Svizzera, dove nel Canton Ticino ci sono 400 prostitute in una decina di strutture organizzate; in Germania, dove i siti dei “centri benessere” sono sistematicamente tradotti in italiano; in Austria, dove appena a dieci minuti di macchina dal Friuli, è stata aperta la più grande sexy spa d’Europa. Ma soprattutto, se non si legalizza, la gran parte dei soldi continuerà a finire nelle mani della criminalità organizzata, secondo Transcrime principalmente quella est-europea ed africana. E’ questo il terzo grande motivo per legalizzare: dare un bel pugno nello stomaco ai criminali che ingrassano sulla pelle delle prostitute.


Matrimoni Gay: la libertà di sposare una persona dello stesso sesso.


Dopo secoli di repressione, l’amore  “che non osa pronunciare il suo nome” è finalmente riconosciuto dalle leggi, in forma di matrimonio o unione civile, di tutta l’Europa occidentale. Pardon…di tutta l’Europa occidentale, con un’unica eccezione: l’Italia non osa pronunciarsi in materia. 

 Paesi che prevedono il matrimonio anche per le coppie dello stesso sesso
██ Paesi che prevedono unioni civili
██ Paesi in cui la convivenza non registrata è riconosciuta
██ Paesi con nessun riconoscimento o con una situazione legislativa ambigua
██ Paesi in cui i matrimoni per le coppie dello stesso sesso sono illegali
L’opposizione italiana alle unioni civili ha qualcosa di veramente incomprensibile, se non si conoscesse l’omofobia becera di molti compaesani. Cosa ve ne importa se due persone dello stesso sesso stipulano un contratto tra di loro? Le unioni civili consentirebbero semplicemente a due uomini o due donne di di legalizzare il proprio amore, scambiandosi diritti e doveri: eredità e pensione di reversibilità in caso di morte del coniuge, possibilità di prendere decisioni sulla salute del partner, tutele in caso di separazione, sconti famiglia etc. Sulle unioni civili, chiunque si professi un difensore della libertà individuale, ha poco da obiettare.

Sul matrimonio civile, che porta inevitabilmente alla possibilità di adozione, la questione si complica. Non per le sciocchezze che avanzano i baciapile italiani, tipo “l’omosessualità è innaturale” (in Natura ci sono numerosi esempi di comportamenti omosessuali tra animali, gli uomini non fanno eccezione), “il matrimonio è volto alla riproduzione” (allora vietatelo anche agli etero sterili o che non vogliono figli), “l’omosessualità è una malattia” (di cui però nessun medico è mai riuscito a trovare la cura, nonostante terribili tentativi con elettroshock). Ma perché implica inevitabilmente la possibilità di adottare figli e quindi va ad influenzare la vita di terze persone. Ciò nonostante, sono a favore anche di matrimoni omosessuali ed adozioni, perché ritengo che molte coppie omosessuali sarebbero genitori migliori di molte coppie eterosessuali, perché sempre meglio avere due padri o due madri che ti vogliono bene che nessuno, perché la letteratura scientifica esclude che l’essere figlio di due gay renda i bambini instabili psicologicamente o più indotti a diventare gay (sempre che sia possibile diventare gay).


Vendita di droghe leggere: la libertà di comprare cannabis legalmente.


Lasciamo agli scienziati la diatriba sulla pericolosità delle droghe leggere. Mi limito a dire che la pericolosità dei derivati della cannabis (marijuana e hashish) non sembra superiore a quella di altre “droghe” legali: secondo l'Organizzazione mondiale della sanità, nel 2013 il fumo ha provocato sei milioni di morti nel mondo, mentre l'Istituto superiore di Sanità ha stimato nello stesso anno in Italia 30mila vittime dell’alcol, trenta volte il numero dei decessi causati da eroina e oppiacei (ben più potenti della cannabis). La cannabis è comunque nociva a livello temporaneo per alcune funzioni cognitive (memoria a breve termine, apprendimento), mentre sugli effetti permanenti di un uso di lunga durata le versioni sono discordanti.


L’uso della cannabis non va incoraggiato, ma siamo sicuri che il proibizionismo aiuti a dissuaderlo? “In God we trust, all others bring data”, amano ripetere gli americani. Ebbene basandoci sui dati, non sembra sia così. Facciamo il paragone tra Italia e Olanda. In Italia, la Giovanardi-Fini punisce severamente la vendita della cannabis equiparandola a quella di cocaina ed eroina: per le vendite di lieve entità, da uno a sei anni di reclusione. Al consumatore italiano possono essere sospesi per qualche mese la patente e il passaporto. Invece in Olanda, dal 1976 è consentita la vendita di cannabis nei coffee shop ai maggiori di 18 anni, non più di 5 grammi a persona al giorno e mai insieme ad alcol. Il consumo non viene ritenuto un crimine, ma è vietato fare pubblicità alla droga. I risultati del confronto sono interessanti. Secondo dati affidabili e imparziali dell’UNODC (Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga), la prevalenza dell’uso di cannabis è maggiore in Italia (ed in aumento) che in Olanda (stabile). Addirittura il doppio più alta in Italia (6,9% contro 3,3%), secondo lo European Monitoring Centre for Drugs and Drug Addiction. Sempre secondo l’UNODC, anche la prevalenza dell’uso degli oppioidi (eroina, morfina…) è maggiore in Italia che in Olanda. A sfatare il mito che la legalizzazione delle droghe leggere porti ad un aumento dell’uso delle droghe pesanti.

La legalizzazione della droga non sembra comportare pericoli di sorta, se adottata seguendo i metodi olandesi e punendo severamente chi guida o commette reati sotto stupefacenti. Anzi, porterebbe diversi vantaggi. Vantaggi sanitari: in Olanda, la qualità della cannabis venduta è controllata dalle autorità. Vantaggi sociali: la legalizzazione della cannabis in Italia darebbe un altro duro colpo alla criminalità organizzata. Vantaggi economici: tassando la vendita, secondo i Radicali, lo Stato italiano otterrebbe 8 miliardi di euro l’anno. La cifra ci sembra esagerata, più probabile che ci si avvicini alle stime che il professore della Sorbona Pierre Kopp  ha calcolato per la Francia: 1 miliardo l’anno per le tasse, e 300 milioni di risparmio per carceri e processi. Aumenterebbero poi anche gli introiti del nostro turismo (quanti ragazzi italiani vanno in Olanda per farsi qualche canna?) e dei nostri “coffee shop”. Infine, la legalizzazione darebbe un po’ di sollievo al nostro sistema carcerario e giudiziario, dato che, secondo il ministro Cancellieri, il maggior numero di detenuti è in carcere per spaccio o produzione di stupefacenti: 23mila su 65mila. In breve, qualche canna allevierebbe un po’ anche i dolori dello Stato italiano.

Eutanasia per malati terminali: la libertà di porre fine alla propria esistenza quando non c’è più nulla da fare.


Io non voglio soffrire, io non ho della sofferenza un'idea cristiana. Ci dicono che la sofferenza eleva lo spirito; no la sofferenza è una cosa che fa male e basta, non eleva niente. E quindi io ho paura della sofferenza. Perché nei confronti della morte, io, che in tutto il resto credo di essere un moderato, sono assolutamente radicale. Se noi abbiamo un diritto alla vita, abbiamo anche un diritto alla morte. Sta a noi, deve essere riconosciuto a noi il diritto di scegliere il quando e il come della nostra morte.

Un anno prima di morire, il novantenne Indro Montanelli scriveva queste parole in una delle sue ultime Stanze sul Corriere. L’eutanasia è un tema molto delicato, ma la libertà di porre fine alla propria esistenza è il diritto ultimo dell’uomo e dobbiamo difenderlo. Sia chiaro, non stiamo parlando di eutanasia per persone sane. Il suicidio assistito che esiste in Svizzera ci pare un’istigazione dello Stato al suicidio, una follia. Il suicidio è una libera scelta, ma lo Stato non deve certo facilitare le persone depresse a perpetrarlo.

Solo nei casi in cui il malato sia terminale ed esprima o, se incosciente, abbia espresso in un testamento biologico la volontà di porre fine alla propria esistenza, lo Stato deve consentire che la morte avvenga nella maniera più indolore possibile. Evitando un’inutile agonia che fa soffrire il malato e la famiglia. Bisogna insomma: 1 impedire che la legge punisca il medico e la famiglia che hanno fatto semplicemente la volontà del malato; 2 rendere il testamento biologico un documento legale e vincolante.


Su queste tematiche, è l’ora che Fare si esprima coraggiosamente. L’articolo è frutto di una mia posizione personale, che mi sembra però in buona parte condivisa da molti Giovani per Fare e dallo stesso Boldrin (rivedetevi le sue risposte ai giovani, dal minuto 44). Sarebbe bello aprire un dibattito ed arrivare presto a dei punti comuni, dettati dal buon senso e non dal pregiudizio.


Enrico Miglino

28 gennaio 2014

Fare senza meditare: la falsa privatizzazione di Poste Italiane


Il 25 gennaio, il Consiglio dei Ministri presieduto da Letta, ha approvato un decreto ministeriale per regolamentare la vendita del 40% delle azioni di Poste Italiane S.p.A.

Ha preso dunque il via il “piano privatizzazioni” annunciato dal Premier già a novembre dello scorso anno, attraverso cui generare un introito stimato di 12 miliardi nelle casse dello Stato, da impiegare in parte nella riduzione del debito pubblico. La vendita del 40% delle azioni di Poste Italiane, annunciata dal Ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni come il “piatto forte” del piano privatizzazioni, dovrebbe portare nelle casse dell’erario circa 4 miliardi di euro.

Ora, posto che il debito pubblico italiano ammonta a circa 2.070 miliardi di euro (stando ai dati Eurostat relativi al terzo trimestre del 2013, il debito è pari al 132% del PIL), non pare molto rassicurante constatare che il “piatto forte” di Saccomanni consenta di “aggredire” il debito, riducendo l’esposizione debitoria dello Stato dello 0,45%. Tale percentuale appare inadeguata ed insufficiente, essendo la riduzione del debito pubblico una delle priorità più impellenti del nostro Paese. Abbiamo bisogno di interventi strutturati e coordinati che permettano di incidere in maniera più significativa, senza tuttavia aggravare la situazione dei risparmiatori, già pesantemente afflitti dal regime di austerità imposto dalla politica degli ultimi anni.

Purtroppo, come succede spesso in Italia, la necessità di affrontare rapidamente e con decisione una situazione di emergenza, determina l’emanazione di provvedimenti, appunto “emergenziali”, che, adottati con l’onesto ma ingenuo proposito di ottenere un effetto immediato, si rivelano fallimentari ed anzi peggiorativi della condizione preesistente. Nella maggior parte dei casi, ciò avviene perché, per via delle pressioni sociali esterne e delle tempistiche ristrette, coloro che sono deputati all’elaborazione di strumenti per la risoluzione di un problema, agiscono in maniera irrazionale, senza studiare approfonditamente ed in maniera sistematica la natura dei mezzi a disposizione e degli effetti che l’impiego di quei mezzi, operato senza indugio, ma anche senza coordinazione, potrebbe effettivamente provocare.

Sebbene, astrattamente, la privatizzazione sia un ottimo mezzo da adoperare per generare risorse da destinare alla riduzione del debito pubblico, l’operazione consistente nella cessione del 40% di Poste Italiane presenta alcune criticità che lasciano dubitare che possa effettivamente produrre gli effetti sperati in termini di riduzione del disavanzo statale. Se è vero che una strategia di privatizzazione ben studiata è in grado di generare risultati positivi sia nel breve che nel medio-lungo periodo, nel caso del decreto sulle Poste, da un lato, non possiamo nemmeno parlare di “privatizzazione”, dall’altro, l’operazione è stata posta in essere senza tener conto della necessità di procedere preventivamente ad una separazione dei rami d’azienda costituenti la società (servizi postali in senso stretto, servizi bancari/finanziari e servizi commerciali), nonché ad una liberalizzazione degli stessi in vista della collocazione sul mercato e dell’annunciata quotazione in Borsa.

Esulando da qualsiasi dibattito tecnico-scientifico, per parlare di “privatizzazione” è necessario che avvenga un trasferimento della proprietà dell’ente da un soggetto pubblico a un soggetto privato. Trasferire la proprietà di una società di capitali, sostanzialmente, significa trasferire una partecipazione di quella società che sia in grado di permettere al l’acquirente di ottenerne il controllo e la gestione. Con la vendita del 40% delle azioni di Poste Italiane (di cui, peraltro, soltanto il 30% liberamente collocabili, essendo previsto che il 10% venga destinato alla sottoscrizione da parte dei dipendenti) non si è inteso procedere ad una vera e propria privatizzazione del servizio postale, in quanto la proprietà del pacchetto azionario che garantisce il controllo della società rimane in mano pubblica. L’operazione, così come delineata da Saccomanni, appare in realtà una vendita congiunta di pacchetti di minoranza finalizzati all’immediato ottenimento del corrispettivo della cessione delle partecipazioni per esigenze di cassa.

La governance, all’esito della procedura, dovrebbe rimanere sostanzialmente inalterata, così come l’apparato di norme pubbliche a tutela dell’attività di Poste Italiane che consente alla società di mantenere una certa redditività (tra le principali, la previsione di un trattamento fiscale agevolato per quanto riguarda l’IVA), il quale si traduce, di fatto, in aiuti di stato incompatibili con una privatizzazione, in quanto lesivi della libera concorrenza del mercato. La prospettiva di una futura attivazione di procedure d’infrazione da parte dell’Unione Europea per violazione degli artt. 107 e 108 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea è più che mai plausibile. L’art. 107 TFUE prevede espressamente che “sono incompatibili con il mercato interno, nella misura in cui incidano sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza”.

In ultima analisi, il “piatto forte” di Saccomanni, per tutti i motivi sopra esposti, risulta essere un pericoloso stratagemma che, lungi dal rivelarsi funzionale allo scopo per il quale è stato elaborato, e cioè per l’aggressione del debito pubblico, consentirebbe di ottenere un impercettibile vantaggio nel breve periodo (l’abbattimento dello 0,45% del deficit) ponendo però le basi per una perniciosa ricaduta che andrebbe, come sempre, a produrre i suoi devastanti effetti sugli investitori e sui risparmiatori.

Mutuando alcuni consigli dall’antica saggezza militaresca del Giappone feudale, Letta ed i suoi uomini dovrebbero tenere a mente che, pur essendo vero che, in tempi di urgenza, “una decisione andrebbe presa nello spazio di sette respiri”, resta altresì innegabile che “la corretta azione è il frutto di una corretta meditazione”.


David Mascarello

27 gennaio 2014

Innocenti evasioni

Dopo qualche giorno di assenza, il "fatto" del giorno ritorna in grande stile, parlandovi dell'avvenimento che una settimana fa ha scosso la cronaca e l'opinione pubblica capitolina.
La facoltosa signora Angiola Armellini, erede della nota famiglia di imprenditori edili romani  è indagata dalla Guardia di Finanza, insieme ad altre undici persone tra consulenti finanziari e commercialisti, per avere nascosto al fisco una somma pari a 2 miliardi di euro che sarebbero stati distribuiti in molteplici conti esteri.

L'imprenditrice romana era inoltre in possesso di ben 1243 immobili non dichiarati ed era l'amministratrice di una complessa rete societaria, costruita secondo la logica delle "scatole cinesi", che sarebbe stata utilizzata per nascondere gran parte del capitale in paesi a regime fiscale molto più leggero e vantaggioso di quello italiano.

Come premessa, è giusto ribadire che Angiola Armellini deve assolutamente pagare per ciò che ha commesso, se confermato dallo svolgimento delle indagini. Anche per giustizia e rispetto nei confronti dei tartassati medi, non abbienti quanto l'imprenditrice capitolina, immortalati tre giorni fa a fare file bibliche agli sportelli per pagare la mini IMU.
In secondo luogo, è opportuno collegare quanto accaduto, con certe affermazioni, o forse sarebbe più opportuno chiamarle "sparate", di ben noti politici. In numerosi talk show e nella precedente campagna elettorale, si è sentito appunto il classico refrain che elogiava un non specificato imprenditore per essere "il maggior contribuente d'Italia" nonostante abbia una condanna definitiva per evasione fiscale, non proprio pari a 100 euro.

Chi vi scrive ritiene assolutamente beceri e irrispettosi questi fraintendimenti, nei confronti sia di quegli imprenditori e lavoratori autonomi che, seppur subissati da innumerevoli balzelli, li pagano tutti fino all'ultimo centesimo con zero tutele in caso di perdita del lavoro, sia di quei dipendenti che le tasse le pagano per forza di cose poiché decurtate a monte dallo stipendio. Il consiglio che viene da indirizzare verso l'attuale governo è quello di abbassare le tasse sul lavoro in modo da rendere credibile la lotta all'evasione di cui tanto si parla in questi anni.



Nicolò Guicciardi

24 gennaio 2014

Conversazione con Michele Boldrin del 22/01/2014


Ci siamo: pubblichiamo la registrazione della prima conversazione col coordinatore nazionale di Fare Michele Boldrin, dedicata esclusivamente a rispondere alle tante domande di noi giovani.

È la prima ma non sarà l'ultima, quindi rimanete sintonizzati sui nostri canali!

Ricordiamo che la partecipazione alla diretta e la possibilità di porre le domande è riservata a tutti i ragazzi under 35.

Ecco l'elenco delle questioni affrontate

  1. Discorso introduttivo
  2. Europa: con chi stiamo dialogando in vista delle europee? Chi c'è e chi non c'è?
  3. Come si potrebbe risolvere il problema di un mercato del lavoro non integrato?
  4. BCE e unione bancaria: si potrebbe superare il meccanismo di bail-in per le banche a rischio default, in cui sostanzialmente chi presta alle banche diventa "de facto" parte del capitale di rischio della banca? E se sì come si potrebbe superare?
  5. Non pensa che l'Europa sia da ridiscutere in senso più federalista, cioè anti-localista? Togliere potere agli stati e dare più potere vero agli organi europei?
  6. È possibile ad oggi rivedere i parametri di Maastricht in chiave più morbida circa gli indici di riduzione del debito e del disavanzo?
  7. Secondo lei sarebbe necessario riformare le istituzioni Europee in modo tale da rendere la BCE una vera Banca Centrale ed il parlamento un vero parlamento con più poteri?
  8. Cosa ne pensa di una possibile introduzione degli eurobond?
  9. Come vede i prossimi anni per la Germania? Riuscirà a mantenere i livelli di crescita degli ultimi anni?
  10. Che prospettive ci sono per l'utilizzo dei fondi strutturali nel 2014?
  11. Abbiamo già dei punti concreti e prioritari da portare in europa o c'è ancora solo il manifesto "generico" di ICPC?
  12. Attualità, prospettive e proposte politiche: a quale percentuale crede che possa ambire l'ipotetico "partito che non c'è" e come potrebbe evolversi la situazione alleanze in ottica future politiche?
  13. È d'accordo sulla proposta di legge elettorale frutto dell'accordo Renzi-Berlusconi? Sì o no e perché?
  14. È possibile l'abolizione delle "quote rosa", che conducono ad una discriminazione indiretta o solo utopia?
  15. Cosa ne pensa della legalizzazione della prostituzione e delle droghe leggere, e dei diritti per le coppie omosessuali?
  16. Cosa ne pensa dell'eutanasia per i malati terminali?
  17. Grillo tiene i suoi voti in freezer. Non c'è il rischio che un'Assemblea Costituente eletta col proporzionale finisca a dipendere ancora da Berlusconi?
  18. Come si esce dalla peggiocrazia? La classe politica è tanto diversa dalla società che la elegge?
  19. Le imprese italiane hanno la più bassa percentuale di laureati, come mai si parla solo di istruzione qualitativamente scarsa e non anche di quantità di laureati?
  20. A ICPC hanno aderito, oltre ai 5 partiti, anche associazioni della società civile, tipo Imprese che resistono o altre?
  21. Quante possibilità ci sono che Fare si coalizzi con Scelta Civica, o con altre forze politiche superiori al 2%, nel futuro prossimo?
  22. Fare, il partito che non c'è e il congresso: il partito che non c'è è interessato a trovare un leader in grado di attirare un ampio consenso elettorale?
  23. Dopo le europee, per le politiche rimarrà il nome di "Fare" o c'è in progetto di abbandonare definitivamente Fare per creare un unico partito liberal-popolare?
  24. Fare come intende territorializzarsi? Quali sarebbero le iniziative, i contributi, le organizzazioni nazionali in vista dell'election day? Ruolo dei comitati?
  25. In un punto del programma del Manifesto per Fare in cui si affermava l'intenzione di una condivisione della leadership. Come siamo messi su questo punto? Ci stiamo lavorando?
  26. Come è stata recepita l'iniziativa Giovani per Fare in DN, se ci sono cose positive ma anche e soprattutto quelle negative, come secondo Michele Boldrin e la DN potremmo migliorare?
  27. La scuola politica di Fare proporrà nuovi corsi?
  28. È possibile partecipare al congresso via streaming per chi è all'estero?

Qui il collegamento alla registrazione: http://www.youtube.com/watch?v=khV6zW-tTnw

Buona visione!

Dall'Ici allo Iuc. Storia di una travagliata tassazione

Correva l'anno 1992 quando fu introdotta l'Ici, imposta comunale sugli immobili.

La storia dell'Ici è poco travagliata fino al 2006, quando il governo Berlusconi annuncia, suscitando lo stupore e grandi speranza nel popolo italiano, l'abolizione della famigerata tassa sulla prima casa. Detto fatto!
Nel 2008, il governo Berlusconi rientra nelle grazie dei cittadini italiani (non tutti, si spera!) con la “grande” manovra fiscale che sopprimeva definitivamente l'Ici. L'umiliata tassa costituiva la più grande entrata erariale per i Comuni, i quali navigano tutt'ora nel limbo del default. Ormai privati della propria autonomia impositiva gli enti comunali per compensare il buco di bilancio necessitavano di trasferimenti monetari. Dunque, da dove sono stati prelevati i soldi per il taglio dell'Ici? Come tutte le storie italiane che si rispettino, concediamo il beneficio del dubbio.

Successivamente, il quarto governo Berlusconi introduce l'Imu, imposta municipale, che sarebbe dovuta andare in vigore nel 2014. Purtroppo le circostanze, o qualche deus ex machina, ha voluto che tale governo fosse sostituito da un agglomerato di tecnici capeggiati dal professor Monti. Questo tale ha anticipato di due anni l’introduzione dell'Imu, applicandola anche alle abitazioni principali.
Gli italiani costernati e indignati per le “impensabili” manovre si son radunati nelle principali piazze della nazione, sostenuti anche dalla contrarietà di elementi di spicco, come il ministro Brunetta.
Ma andiamo avanti...

Il dispettoso deus ex machina (maledetti antagonisti!) contribuisce alla fine del governo Monti e il 29 aprile 2013 sale alla guida del Paese Enrico Letta. Letta provvede subito alla sospensione della prima rata dell'Imu e, sotto pressione dell'ex cortigiano, Renato Brunetta, il 29 agosto l'Imu viene dichiarata abolita. Dopo esser ritornati dalle proprie tenute estive, dopo aver fatto un bel po' di calcoli ci si rende conto che non vi era abbastanza pecunia per il rimborso ai comuni della prima rata dell'Imu. Nonostante le continue avversione, si procede con l’aumento dell’Iva, dal 21% al 22%. Resta da “risolvere” un ennesimo problema: la seconda rata dell’Imu. Il governo si impegna a non farla pagare ma le casse statali non permettono tali finanziamenti; in ogni caso riconosciamo le buone intenzioni. Dunque l’indagine per la copertura si sposta verso l’aumento al 128% dell’acconto Ires per banche e assicurazioni e all’incremento delle accise sul carburante.

Il punto di svolta arriva con la “service tax” che fornisce un contributo all’aumento della dislessia nel pronunciare i fantasiosi acronimi delle tasse. La service tax si compone della Tasi e della Tari. Quest’ultima è destinata a raccogliere i fondi per finanziare il servizio comunale di raccolta e smaltimento rifiuti a carico degli occupanti dell’immobile. La Tasi, tassa per la gestione dei servizi indivisibili, invece, a carico dei proprietari. La tassa sostituisce l’Imu ed è direttamente gestita dai Comuni, che definiscono le aliquote da pagare e le modalità di attuazione. Se il presupposto dell’Imu era la proprietà, quello della Tasi sono i servizi ma la base imponibile rimane la stessa, ossia la rendita catastale.

La Tari insieme la Tasi costituiscono la Taser, onde evitare confusione con storditori elettrici di Scuola di Polizia, ha preso il nome di Trise. Ma la Trise si trasforma in Tuc che, per chi fosse amante dei fantasy di Tolkien, è una delle famiglie Hobbit più importanti. Però questa è un’altra storia.
Dulcis in fundo, la Tuc diventa Iuc, suono onomatopeico che echeggia conati di vomito, come direbbe qualcuno. L’imposta unica comunale, comprende Imu, Tari e Tasi. L’aliquota Tari e Imu sulle seconde case non potrà superare il 10,6 per mille. L’aliquota Tasi non potrà superare, invece, il 2,5 per mille. Questo significa che chi possiede solo una abitazione principale (non ville, palazzi, abitazioni di lusso) non pagherà l’Imu , ma solo Tasi e Tari; chi possiede seconde case, attività commerciali, abitazioni di lusso pagherà Tasi, Tari e Imu.



Alla fine dei vari travagli per partorire tale riforma fiscale riconosciamo al Governo l’inventiva e la fervida immaginazione nella capacità di coniare neologismi.


Verdiana De Luca

23 gennaio 2014

Le teorie antieuro smontate con il buon senso - 2

Seconda puntata: Un padre debosciato


Il buon padre di famiglia, si diceva. Cerchiamo di vedere come si comporta costui.
Tutti i mesi cerca di accantonare una cifretta per le emergenze e per dare un futuro a sé e ai propri figli e magari ne usa una parte per abbattere i debiti che ha contratto per avviare la propria attività o per comperare un’abitazione.
Per fortuna in Italia ce ne sono tanti, di buoni padri di famiglia, forse è per questo motivo che nonostante un tasso di disoccupazione giovanile alle stelle, i nostri ragazzi e ragazze hanno ancora un tetto sulla testa. La famiglia si conferma l’unico “ammortizzatore sociale” realmente funzionante in questo paese. Ma questo è un altro discorso.
Torniamo al padre di famiglia buono e “rigoroso” che cerca di non spendere mai di più di quel che porta a casa. Secondo alcuni noi stiamo morendo di “rigore”. Sì avete capito bene! Il comportamento del buon padre sarebbe dunque sbagliato e rischierebbe di condurci alla rovina. Mai sentito nulla di più assurdo! Purtroppo tutti i giorni qualcuno si suicida per debiti ma io non ho mai sentito di nessuno che si sia tolto la vita perché ha gestito i propri danari in maniera “rigorosa”.

Anche chi non chiede di uscire dall’Euro chiede perlomeno che Bruxelles allenti le briglia del rigore. Di base costoro pensano di curare il debito pubblico creandone altro. Raccontano la vecchia storiella degli investimenti statali che creerebbero magicamente posti di lavoro. Investimenti statali e conseguente crescita impediti dai “cattivoni di Bruxelles” che ci vogliono magri e al servizio della cancelliera. Forse si sono dimenticati che questo modello esisteva e ci ha portato qui. Tiro a indovinare. Forse non hanno la memoria abbastanza lunga per ricordare quanti danni ha prodotto la Cassa per il Mezzogiorno e quanti danni sta ancora producendo l’italico “Capitalismo di Stato” che pare ci costi 23 miliardi di Euro l’anno che finiscono in una sorta di pozzo di San Patrizio. E poi evitano accuratamente di dirci dove prenderebbero tutti i soldi che servirebbero per finanziare questi investimenti pubblici.


Ci sono solo due strade possibili, visto che i tagli alla spesa costoro non li contemplano: altre tasse oppure una bella patrimoniale. Le solite vecchie ricette che hanno portato al disastro. I critici del rigore che chiedono di sforare il famigerato tetto del 3% vogliono continuare a incrementare la spesa pubblica, vogliono che lo Stato si continui a comportare come ha sempre fatto. Non come il “buon padre di famiglia” ma come il padre disgraziato che la sera va a ubriacarsi al bar, a donne e magari anche a fare un pokerino con gli amici e che per finanziare il suo stile di vita debosciato si indebita finendo per chiedere soldi a prestito a questo o a quello. Questo è quello che fa lo Stato Italiano da svariate decine di anni, lo Stato Italiano infatti ha debiti pari a 1,34 volte la ricchezza che il paese produce (PIL), lo Stato Italiano si sta spianando la strada verso la Grecia. Non si può prevedere quanto tempo ci voglia per arrivarci ma è certo che se non si inverte la rotta ci si arriverà ed è anche certo che questo paese avrà un futuro sempre più grigio e senza speranza.


La mia povera nonna mi diceva sempre: “la colpa è una bella donna, ma nessuno la vuole”. La sua saggezza contadina mi sembra si applichi bene agli antieuro e ai loro difensori tutti impegnati a fornire un alibi al padre disgraziato invece che a guardare negli occhi la verità.


Non ci sono oscuri complotti, non c’è sovranità monetaria, non c’è stampa di carta straccia che tenga, non ci sono rimedi magici che ci possano ridare il benessere perduto; c’è solo uno Stato mangione, sprecone e dissennato che per finanziare sprechi, clientele e corruttele da decine di anni scientificamente si indebita e da decenni scientificamente opprime i propri cittadini con uno dei regimi fiscali più vessatori e arroganti del mondo: la pressione sulle piccole e medie imprese, il cuore della nostra economia, sfiora infatti il 70%.

Tale Stato va sottoposto a una drastica cura dimagrante; invece di belare di redditometri vari e meccanismi stile “grande fratello” per controllare gli evasori (che peraltro hanno dato risultati scarsissimi), farebbero bene ad applicarlo allo Stato il redditometro. I cittadini hanno infatti innumerevoli, quotidiane dimostrazioni di dove finiscono i soldi delle loro tasse.
A questo punto normalmente si alza una canea vociante, i Barnard, i Cuperlo, i Fassina, i Landini di turno, che punta il proprio ditino accusatorio e tuona: “ sono le solite ricette neoliberiste che hanno dato la stura alla crisi mondiale, la spesa pubblica non può essere tagliata perché ciò intaccherebbe lo Stato sociale”. Bene! Quindi ne deriva che secondo costoro il finanziamento pubblico ai partiti, ai giornali, alle radio, le auto blu, i mega stipendi dei politici e dei burocrati di Stato, i finanziamenti a fondo perduto alle aziende pubbliche, le pensioni d’oro, i milioni d’euro che vengono gettati nel pozzo senza fondo delle controllate, delle municipalizzate e delle chi più ne ha più ne metta sono STATO SOCIALE. Bene!

Io penso che queste siano stupidaggini! Penso che sia vero il contrario, penso che grazie ai tagli allo spreco potremmo migliorare lo Stato sociale, diminuire le tasse, favorire gli investimenti e i consumi producendo così quel lavoro di cui abbiamo bisogno disperato e iniziando così a diminuire il debito; questa è l’unica strada da percorrere. Non è un rimedio magico alla Beppe Grillo, ciò che è stato distrutto in 40 anni di malgoverno non si mette a posto in 40 giorni, lo dico chiaro. La strada è lunga e in salita, ma è l’unica a meno che non si voglia continuare a sprofondare.

Ci vediamo alla prossima puntata con la quale inizierò a entrare più nel merito delle teorie dei nostri profeti di sventure.

Gabriele Galli, su gentile concessione de il Resto del Declino (ilrestodeldeclino.it)

22 gennaio 2014

Sbarre ... d'acciaio

Balza oggi agli onori della cronaca il mandato di arresto europeo emanato dalla procura di Milano verso Fabio Riva, uno dei principali dirigenti dell'azienda siderurgica di Taranto ILVA , residente a Londra.
Riva è accusato di truffa allo stato per 100 milioni di euro, perpetrata tramite la creazione di una società in Svizzera che potesse aggirare la Legge Ossola , provvedimento riguardante l'erogazione di contributi pubblici per le grandi aziende che esportano all'estero. 

L'accusa attribuita al dirigente della siderurgia pugliese è la terza parte di una più consistente inchiesta che vede coinvolti gli altri due fratelli della famiglia Riva Emilio e Adriano , accusati di avere sottratto all'ILVA una cospicua somma di denaro , ammontante a 1,9 miliardi di euro, per averli dapprima nascosti in paradisi fiscali e in seguito fatti rientrare in Italia grazie allo scudo fiscale , di cui sappiamo bene da quale governo è stato partorito.

L'arresto di Fabio Riva risulta senza dubbio una ideale cornice alle mancanze che si sono susseguite durante tutto il periodo di attività dell'azienda fino ad oggi. Non si è mai vista infatti una netta presa di posizione né da parte dello Stato, quando ancora il colosso tarantino prendeva il nome di Italsider, né da parte dei privati sicuramente troppo interessati al mero profitto , riguardo ai numerosissimi casi di tumore e malattie cardiovascolari causati dall'emissione di particelle dovute alla lavorazione dell'acciaio.


Non essendo infatti mai stati eseguiti sugli impianti, i miglioramenti e gli adattamenti necessari a ridurre l'inquinamento, viene intuitivamente da chiedersi a "che santo votarsi" quando si assiste ad uno Stato noncurante e menefreghista verso le tematiche ambientali e di salute, e ad un capitalismo privo di scrupoli verso le vite umane, quando si tratta di far lievitare i profitti .


L'unica magra consolazione sta nel fatto che le tasse delle persone per bene, che un tempo contribuirono a finanziare l'ex Italsider, oggi non vengono più utilizzate per provvedere al funzionamento dell' Ilva e alla dispersione dei suoi veleni.


Nicolò Guicciardi

21 gennaio 2014

Numeri della legge elettorale di Renzi: un problema di democrazia

Renzi parla e tutti sono in religioso silenzio. Renzi ce l'ha fatta un'altra volta: ha messo d'accordo Berlusconi, Alfano (che nicchia sulle liste bloccate, ma molto più probabilmente aspetta la conta dei voti alle europee) e Scelta civica. Ha perso l'appoggio di parte del proprio partito, ma tanto quelli sono i dalemiani/bersaniani di ferro che non si convertono neanche sulla via di Damasco...ops, di Firenze!
Bravo Renzi! Grande Renzi! Ma...

Ma c'è un problema: siamo d'accordo che ''il posto fisso è monotono'' è una frase altamente opinabile e qualcuno aggiungerebbe malinconicamente ''magari vivessi nella monotonia!'' eppure questa legge elettorale rischia di monotonizzare il Parlamento. In che senso?
Facciamo due conti:
Dall'ultimo sondaggio presentato in televisione questa sera (20/01/2014 a Piazzapulita su La7) queste sono le intenzioni di voto degli italiani:

Partito Democratico..................33,0%
Movimento 5 Stelle...................21,0%
Forza Italia................................20,0%
Nuovo Centrodestra....................5,5%
Lega Nord...................................3,5%
Unione di Centro.........................2,5%
Sinistra e Libertà.........................2,0%
Fratelli d'Italia.............................2,0%
Scelta Civica...............................1,0%
Altri partiti..................................9,5%
Totale intenzionati a votare.........61%
Astenuti.......................................24%
Indecisi........................................15%

Spicca il dato del PD saldamente in testa in solitaria oltre i trenta punti percentuali. Ma quel 33,0% non è in termini assoluti, bensì in termini relativi, pertanto se mettiamo in termini assoluti i risultati sarebbero:
Partito Democratico..................20,13%
Movimento 5 Stelle...................12,81%
Forza Italia.................................12,20%
Nuovo Centrodestra....................3,05%
Lega Nord...................................2,14%
Unione di Centro.........................1,53%
Sinistra e Libertà.........................1,22%
Fratelli d'Italia.............................1,22%
Scelta Civica...............................0,61%
Altri partiti...................................5,80%
Astenuti..........................................24%
Indecisi...........................................15%

Oh, finalmente abbiamo una migliore idea di quali sono le proporzioni vere della rappresentanza politica in Italia perché calcolata in termini assoluti. Improvvisamente vediamo che il numero degli astenuti è sorprendentemente maggiore di quello di qualsiasi altro partito, paradossalmente nonostante ci vogliano far credere che le maggioranze sono nette e preponderanti e soprattutto coagulate attorno ai tre partiti maggiori, nonostante ciò scopriamo che il vero partito che vincerebbe le elezioni è quello dell'astensione, è il partito di quelli che nell'offerta politica che sembra essere tanto varia non sono rappresentati da nessuno. Tra l'altro vince con un distacco di ben 4 punti percentuali.

Facciamo una seconda considerazione: se sommiamo agli astenuti il dato degli altri partiti abbiamo come risultato un imbarazzante 29,8% di persone che non sono rappresentate dall'attuale offerta politica parlamentare. Facciamo un ultimo calcolo, e qui si chiarisce dove voglia andare a parare il discorso: sommiamo al numero degli astenuti e a quello dei micropartiti, alias partiti extraparlamentari, il valore in termini assoluti di tutti i partiti non raggiungono in termini relativi, non dico la soglia dell'8% come se andassero da soli alle elezioni, ma la soglia del 5%  ipotizzando che si apparentino e si presentino alle elezioni dentro ad una coalizione. Il risultato, mirabile dictu, schizza al 36.505% che è ben oltre una volta e mezzo (1,813 per la precisione) il numero dei votanti di quello che, secondo il sondaggio, è il primo partito d'Italia e la cosa inquietante è che il dato è in crescita. La domanda che si pone adesso è vogliamo proprio perseguire questa strada per cui se non vendi le tue idee (e anche qualcos'altro) a Berlusconi, D'alema o Renzi, per citarne alcuni, non hai possibilità di avere nemmeno un rappresentante di opposizione?

E' vero che la microframmentazione ha portato ad un sacco di problemi in Parlamento di instabilità politica sia del Governo sia del Parlamento stesso che nell'opinione dell'italiano medio si è trasformato in una palude al posto che essere il centro e il motore dell'attività dello Stato. Ma questo è un problema della legge elettorale o dei politichetti da quattro soldi che nel ricatto politico ci sguazzano e che soprattutto noi italiani non riusciamo a evincere dalla classe dirigente del Paese? E' un problema di forma o di sostanza? Se è un problema di sostanza la cui risoluzione viene demandata alla legge elettorale allora dobbiamo essere consci che stiamo dando una valenza morale alla legge. È compito della legge elettorale valutare a priori quali idee abbiano più diritto di sedere in Parlamento o il suo compito è meramente di essere uno strumento tecnico per stabilire, date determinate scelte di voto, chi deve governare e chi deve avere una rappresentanza anche se non determinante per la tenuta del Governo e chi deve stare all'opposizione?

La risposta pare ovvia, eppure una legge elettorale con questo tipo di soglie non deve e non può risolvere un problema, oserei dire, strutturale perché non è il suo compito, ma soprattutto non garantisce un ricambio partitico efficiente. Con questa legge elettorale si afferma che ci sono partiti, e quindi idee, migliori degli altri solo perché è capitato storicamente che in questa situazione assolutamente contingente, e incostituzionale, si trovano a sedere in Parlamento questi partiti con queste maggioranze già consolidate. Cioè si calcificano questi partiti e questo establishment garantendo loro un monopolio o, meglio, un oligopolio monopolistico e aconcorrenziale che però nei numeri di fatto non hanno.
Con questa legge elettorale si santifica il principio del più forte che per sbaglio, per meriti non suoi (perché della storia del Pd e antesignani si può dire tutto, ma non che la bilancia del merito penda dalla parte positiva, prova ne sia la situazione di declino in cui ci troviamo oggi) si è trovato in posizione dominante. Il che è prepotenza, non democrazia. 

Che ci debba essere un limite all'ingresso e un minimo di coagulazione è indubbio, ma non è compito della legge elettorale risolvere questo problema tagliando le funi della nave politica e lasciando sulla banchina chi non è salito in fretta e furia svendendo qualsiasi cosa pur di avere un biglietto.
L'unico passo in questo senso è stato fatto, strano a dirsi, da Veltroni quando decise, cosa poi rimangiata subito per tenersi buoni gli ex e i post comunisti, di andare al voto da solo, sapendo di perdere, ma sfidando a fare lo stesso. Quella è la via politica ad un bipolarismo vero e non qualcosa di artificiale come quello imposto dalla legge elettorale.
Da ultimo non mi è chiara una cosa: sarà l'ora tarda, sarà che sono tonto, ma non capisco perché una soglia del 5% non permetta il ricatto da parte dei partiti minori nei confronti del governo. E questo sia nel caso di una maggioranza con 53% dei seggi sia nel caso più roseo di 55% di seggi, per me resta un mistero matematico inspiegabile.


Fabrizio Venturini

20 gennaio 2014

PrefeRenzi?

Arriva oggi presso la segreteria del Partito Democratico, la presentazione della bozza di quella che dovrebbe essere la prossima legge elettorale, chiamata Italicum dal segretario democrat Matteo Renzi all'indomani del tanto discusso incontro con Silvio Berlusconi.

I caratteri fondamentali proposti nell'Italicum sono un premio di maggioranza che oscillerebbe tra il 53 e il 55% per la coalizione che raggiunga il 35% delle preferenze, soglie di sbarramento fissate rispettivamente all'8% per i partiti che corrono da soli, 12% per le coalizioni e 5% per i partiti singoli all'interno di una coalizione. Infine, liste bloccate composte da un minimo di 4 ad un massimo di 6 candidati in circa 120 circoscrizioni. Qualora poi nessuna coalizione raggiunga il 35% fissato come soglia di ottenimento del premio di maggioranza, si procederà ad un secondo turno tra le due coalizioni più votate per decretare il vincitore.

È bene quindi ragionare e fare qualche riflessione su questo modello di legge elettorale. Incominciamo col dire che le discussioni sul premio di maggioranza e sulle soglie fissate per ottenerlo, alimentate dal presidente del PD Gianni Cuperlo, sono puro ostruzionismo visto che i parametri di governabilità in modo stabile per una legislatura sono garantiti dal doppio turno e l'eccessiva frammentazione viene tamponata da un premio di maggioranza molto elevato, forse anche troppo.
Legittime invece le critiche alle liste bloccate anche se brevi, da parte di Fratelli d'Italia, Sinistra Ecologia e Libertà e Popolari per L'Italia , che come il Porcellum rischiano di compromettere gravemente ogni meccanismo di accountability, sicuramente attuabile al meglio con collegi uninominali e un sistema maggioritario. 

Le liste bloccate quindi impedirebbero con ogni probabilità, supponendo che il PD adotti il meccanismo ormai consolidato delle primarie per scegliere i candidati in ogni lista, a tutti gli eventuali elettori liberali e di centrodestra di potersi scegliere i rappresentanti, poiché il "paladino dei liberali" Silvio Berlusconi non è certo rinomato per l'utilizzo frequente del suddetto strumento di selezione dei candidati. 
Per chi si sente liberale e tendenzialmente favorevole alla democrazia interpartitica, è quindi consigliabile affidarsi a forze alternative a FI.


Nicolò Guicciardi

P.S. Un abbraccio alla mia gente ancora cosi sofferente per calamità naturali causate e accentuate dall'incuria umana. Quando voteremo ne terremo senza dubbio conto

17 gennaio 2014

Le teorie antieuro smontate con il buon senso

Prima puntata: Deliranti complotti


Su Facebook ho alcuni “amici” o “amici di amici” che quotidianamente o quasi postano propaganda “antieuro”. Preso dalla curiosità ho voluto approfondire le loro teorie sulle questioni del “signoraggio primario”, del “signoraggio secondario”, della necessità di andarcene dalla moneta unica europea e, ultimo ritrovato, della truffa ai danni dell’Italia che si perpetrerebbe mediante il Meccanismo Europeo di Stabilità (Fondo Salva-Stati).
Pertanto siccome a volte sono un po’ insonne ho deciso di dedicare qualche oretta notturna alle questioni di cui sopra e mi sono imbattuto in una miriade di siti, pagine facebook, blog che diffondono queste teorie. Sono spassosi i membri di questi gruppi, dovreste leggere come si insultano tra di loro usando gli epiteti più fantasiosi e le foto che postano. Quella che più mi ha colpito e’ un fotomontaggio di Mario Draghi alla cui bocca sono stati applicati dentini insanguinati da Dracula. Semplicemente fantastico: “il grande succhiasangue di Bruxelles”.

Mi sono reso conto anche che sulla rete hanno caricato centinaia di video dei loro “guru”, ne ho guardato qualcuno. Il più delle volte si tratta di assoli di ore oppure succede anche che si intervistino tra di loro scambiandosi reciprocamente i complimenti. Da quello che ho potuto vedere sono un po’ allergici ai contradditori. I signori in questione rispondono ai nomi di Alberto Bagnai, Paolo Barnard, Nino Galloni, Antonio Maria Rinaldi, Loretta Napoleoni, ma ce ne sono anche altri, questi sono solo i più noti. Molti di loro, ho controllato, non avrebbero nemmeno il diritto di fregiarsi del titolo di economista perché non lavorano in alcuna università e non fanno ricerca economica ma che volete che sia? Pare che questo non sia un problema per i loro seguaci. E poi per parlare di economia mica bisogna essere per forza degli economisti… Dunque ho deciso di parlarne anch’io che di mestiere insegno la nostra lingua agli stranieri e come è ovvio ho alle spalle tutt’altri studi. Devo ammettere che trovo l’economia particolarmente ostica se la si affronta in maniera “tecnica”; tutte quelle linee che si incrociano, quei grafici, tutta quella matematica non mi vanno proprio giù. Però devo dire che quando sento gente preparata che parla di economia senza l’uso di grafici e simboletti astrusi, essa mi risulta davvero chiara, logica, semplice, persino inoppugnabile. Li ascolterei per ore. Sento che cresco culturalmente e molte cose mi diventano chiarissime, persino lampanti.


Tuttavia quando mi sono sciroppato qualche ora di Rinaldi e compagnia cantante ho avuto l’impressione contraria. Costoro avanzano confuse e fumose teorie, rendono tutto così complesso, denunciano a gran voce oscure trame che perdurerebbero da centinaia d’anni.
Ho sentito Barnard, con queste orecchie, dire che il complotto per spillare il sangue agli europei tramite l’Euro ebbe inizio dai nobili deposti dalla rivoluzione francese e poi sarebbe continuato per secoli tramandandosi grazie a Monnet, Delors, Prodi per poi finire nelle mani di Merkel e Draghi. Ve lo immaginate il Conte di Chambord che complotta fitto fitto con la cancelliera? E Jean Monnet e Oly Rehn cosa si diranno mai nei loro segreti meeting dentro reconditi igloo in terra di Finlandia?
Scherzi a parte, costoro non meriterebbero il mio tempo ma nemmeno quello di nessun altro se fossimo in un paese normale… ma purtroppo si sa l’Italia è un paese anomalo nel quale i cialtroni riescono spesso a ottenere molto credito, producendo danni inimmaginabili. Questi astuti demagoghi vengono infatti invitati in tv, a convegni di partito e di associazioni professionali, rilasciano interviste sui giornali spargendo le loro follie a piene mani.

A dar loro (involontaria?) manforte da molto tempo purtroppo ci sono anche i giornali berlusconiani che nell’intento di sgravare il Cavaliere da ogni responsabilità per la bolla dello spread nell’estate del 2011 strillano a gran voce di un complotto europeo volto a sbarazzarsi di Berlusconi e a sostituirlo con l’euroburocrate Monti che avrebbe imposto il rigore voluto da Berlino di cui ora staremmo morendo.

Lo scenario italiano va dunque infoltendosi di soggetti politici e agitatori da strapazzo che sventolano forte la bandiera dell’antieuropeismo. I partiti che hanno toni anti-euro, antieuropeisti, o comunque fortemente critici verso la costruzione europea anche se con sfumature diverse, sono davvero molti. Fratelli d’Italia, la rinata Forza Italia, la Lega e Grillo parlano apertamente di uscire dall’Euro e anche il PD e il NCD si sono messi a dire che bisogna allentare le briglia del rigore di Bruxelles. Con toni diversi, dunque, tutti i soggetti politici rappresentati in Parlamento sono impegnati a creare un “falso nemico”, uno specchietto per le allodole contro il quale gli italiani giustamente arrabbiati, possano scagliare le propri ire. Intendetemi, non che l’Europa non abbia pecche, penso ad esempio agli eccessi burocratici, alla mancanza di una politica estera, di difesa e dell’emigrazione comune, ma invece di darsi da fare nelle opportune sedi per risolvere questi problemi, in Italia si passa il tempo a dare in pasto a un’opinione pubblica inferocita nessi di causa-effetto inesistenti e ridicoli come quello tra l’ingresso nell’Euro e la crisi economica e quello tra il vincolo del 3% e la mancata crescita. Di base i nostri politici, mediante i loro economisti da teatro di quart’ordine cercano di farci credere che il disastro che viviamo quotidianamente non è colpa loro ma di un nemico esterno, lontano di cui bisogna prima o poi sbarazzarsi.


L’antieuropeismo che viene quotidianamente profuso nel nostro paese mi preoccupa molto. Uscire dall’Euro sarebbe una letale follia che produrrebbe la bancarotta dello Stato in breve tempo e siccome non voglio che l’Italia finisca in un baratro da cui non c’è ritorno ho deciso di lanciare quella che chiamo “immodestamente” un’operazione verità. A questo articolo ne seguiranno infatti altri tre coi quali tenterò di dimostrare perché gli antieuro sono dei pubblici e pericolosi mentitori. A spiegare “scientificamente” il danno che deriverebbe dall’uscita dall’Euro usando i grafici e i simboli dell’economia ci ha già pensato magistralmente Alberto Bisin con un paio di articoli su “Noise from Amerika” (qui si può leggere l’originale). A mio avviso quegli articoli sono illuminanti ma risultano un po’ “tecnici” per chi non fa l’economista di mestiere.
Ma ci sta. Bisin è uno studioso di fama internazionale che scrive su un prestigioso blog per addetti ai lavori e usa le sue di armi, gli inoppugnabili grafici e simboli. Io vorrei tentare di usare armi molto più rudimentali: quelle del buon senso. Mi piace illudermi che sia utile perché Fare per Fermare il declino può e deve cambiare il paese, ma per farlo ha bisogno di milioni e milioni di voti anche dei voti di coloro che, come me, faticano coi numeri, i grafici e i simboletti. Molto volte ci accusano di essere il partito dei professori che usano l’arzigogolato e incomprensibile linguaggio dell’economia per spiegarsi e ciò ci alienerebbe il consenso di molti che non ci capiscono perché parliamo “troppo difficile”. Forse qualche elemento di ragione in queste critiche c’è. Pertanto voglio vedere se è possibile usare un linguaggio più semplice. Questo per due motivi.

Il primo. Sono fermamente convinto che quello che propone Fare per Fermare il declino non è difficile. Anzi è semplicissimo. I nostri 10 punti programmatici potrebbero riassumersi in una semplice massima: “lo Stato deve comportarsi come un buon padre di famiglia”. Ogni bambino e bambina che conosco infatti sa che suo papà non può spendere più di quello che guadagna. Questa semplice nozione pare invece sfugga e sia sfuggita a chi ci ha governato negli ultimi 30-40 anni.
Il secondo. Cercare di smontare “scientificamente” ciò che di scientifico non ha nulla, ciò che è soltanto volgare menzogna, obbliga a fornire numeri, dati e tabelle. In altre parole costa tempo e fatica.
Inventare balle invece non richiede né tempo, né fatica. Sono sufficienti la fantasia e la malafede di cui gli antieuro dispongono in quantità infinita. Costoro sono in grado di produrre più letame di quanto anche il più volonteroso degli spalatori possa rimuoverne. Siccome voglia di spalare io non ne ho, ho deciso di non piegarmi al loro gioco e usare l’unica arma che ho per le mani: il nudo buon senso. Quello di cui dispone chi va a lavorare tutti i giorni e che ha alle spalle studi di natura non economica.


Nella prossima puntata parleremo di un padre disgraziato, ubriacone e pieno di debiti e nelle ultime due del perché l’uscita dall’Euro è una colossale follia e del perché tre dei capisaldi delle teorie di costoro : “il signoraggio primario”, il “signoraggio secondario” e la truffa del fondo salva-Stati sono delle balle spaziali.
Alla settimana prossima, allora! Spero troverete la pazienza di leggermi. Ah! Dimenticavo di ringraziare i tanti amici, su tutti Valerio Poluzzi, che mi hanno riletto e mi hanno dato preziosi consigli su come rendere più chiaro il mio pensiero.


Gabriele Galli,
 su gentile concessione de il Resto del Declino (ilrestodeldeclino.it)

Mamma e papà basta btp, investite su di me

Il futuro dei giovani bruciato dall'acquisto dei titoli di Stato

La cultura italiana per gli investimenti è parallela alla cultura politica, entrambe infatti vivono e si nutrono della stessa massima: “non cambiare mai”. La riflessione da fare intorno a questo argomento è molto importante perché da come si investe si può comprendere in quale direzione vada un Paese.

L’Italia, come tutti sappiamo, ha uno stock di debito di oltre 2000 mld incrementato a partire dagli anni ’80 quando la finanza statale creativa ha iniziato a stampare moneta e a fare spesa pubblica incontrollata, con tassi di inflazione annuale superiore al 10% e rendimenti dei bot al 15%. In diebus illis (per usare un termine rispondente all’evangelizzazione di quei tempi) l’investitore italiano è stato educato all’acquisto incondizionato di titoli di stato, affascinato dai tassi, dal fatto che lo Stato sembrava non poter fallire e soprattutto perché come dicono in tanti “allora si viveva bene”, e infatti mentre si mangiava non si pagava il conto. Ora evitiamo in questo post di parlare di rischio di portafoglio, di deviazioni standard, di tres e concentriamoci su aspetti logici, ma meno tecnici.

Quando si acquista un titolo di debito di uno Stato Sovrano si fa credito al Paese emittente, il quale utilizzerà tale debito per migliorare i servizi prodotti, costruirà infrastrutture, ne ammodernerà altre etc… tutto ciò ovviamente per il bene della Nazione. In Italia il nuovo debito viene emesso per coprire debito in scadenza e i fabbisogni finanziari, i quali tuttavia sono altri rispetto a quel 3% previsto da Maastricht per gli investimenti. Occorre quindi, precisare che tale debito non è utilizzato per ciò che in economia viene chiamato Totale dei Fattori Produttivi, ma piuttosto alimenta un circolo vizioso di sprechi e ruberie. Nel nostro Paese la spesa pubblica è di circa 800 mld, non così eccessiva in termini nominali, ma con un grande difetto di allocazione delle risorse gestite in maniera, a dir poco, malsana dalla classe politica.

A chi piace questa situazione?
Gli interessi reali sul debito sono quelli dei politici, per i quali le situazioni di emergenza sono comode per non cambiare nulla e continuare a nutrire mostri pubblici come le municipalizzate (caso Atac Roma ), sistemi di privilegi, amicizie e radicare sempre più nei territori i loro interessi particolari continuando a non fare il bene del Paese. Le generazioni dei giovani sono state bruciate dagli investimenti sbagliati delle generazioni precedenti, questo è il grande punto del passaggio intergenerazionale, questa è la vera realtà. Sono stati dati poteri e capitali a manager incompetenti verso i quali si è espressa per molto tempo un’incondizionata fiducia, mentre si abbandonavano figli davanti alle tv e si raccontava loro le favole del posto fisso, dei diritti dei lavoratori ed altre amenità anacronistiche.

L’Italia merita di più dai suoi figli. Dal capitale umano italiano sono nate idee di bellezza uniche nello stile, nella capacità di comunicare, nella forza. E’ arrivato il momento di investire nei giovani, nelle Startup, aiutare i ragazzi a fallire, a rialzarsi, a combattere per costruire la propria realizzazione. E’ arrivato il momento di cambiare strada, di camminare verso forme nuove di sostegno alle idee come il crowdfunding, di uscire da logiche di sistema, soprattutto laddove il sistema ha fallito, di attrarre talenti e di creare opportunità, perché la vera finanza serve a questo.

Basta Btp, basta dar capitali a chi spreca, è giunto il tempo di “affamare la Bestia”.
E’ necessario investire nell’Europa e nel presente e futuro dei ragazzi per dar loro speranza e fiducia nel futuro.


Daniele Rippa