Il futuro dei giovani bruciato dall'acquisto dei
titoli di Stato
La
cultura italiana per gli investimenti è parallela alla cultura politica,
entrambe infatti vivono e si nutrono della stessa massima: “non cambiare mai”. La
riflessione da fare intorno a questo argomento è molto importante perché da
come si investe si può comprendere in quale direzione vada un Paese.
L’Italia,
come tutti sappiamo, ha uno stock di debito di oltre 2000 mld incrementato
a partire dagli anni ’80 quando la finanza statale creativa ha iniziato a
stampare moneta e a fare spesa pubblica incontrollata, con tassi di inflazione
annuale superiore al 10% e rendimenti dei bot al 15%. In diebus illis (per
usare un termine rispondente all’evangelizzazione di quei tempi) l’investitore
italiano è stato educato all’acquisto incondizionato di titoli di stato,
affascinato dai tassi, dal fatto che lo Stato sembrava non poter fallire e
soprattutto perché come dicono in tanti “allora si viveva bene”, e infatti
mentre si mangiava non si pagava il conto. Ora evitiamo in questo post di
parlare di rischio di portafoglio, di deviazioni standard, di tres e concentriamoci
su aspetti logici, ma meno tecnici.
Quando
si acquista un titolo di debito di uno Stato Sovrano si fa credito al Paese
emittente, il quale utilizzerà tale debito per migliorare i servizi prodotti,
costruirà infrastrutture, ne ammodernerà altre etc… tutto ciò ovviamente per il
bene della Nazione. In Italia il nuovo debito viene emesso per coprire debito
in scadenza e i fabbisogni finanziari, i quali tuttavia sono altri rispetto a
quel 3% previsto da Maastricht per gli investimenti. Occorre quindi, precisare
che tale debito non è utilizzato per ciò che in economia viene chiamato Totale
dei Fattori Produttivi, ma piuttosto alimenta un circolo vizioso di sprechi e
ruberie. Nel nostro Paese la spesa pubblica è di circa 800 mld, non così
eccessiva in termini nominali, ma con un grande difetto di allocazione delle risorse
gestite in maniera, a dir poco, malsana dalla classe politica.
A
chi piace questa situazione?
Gli
interessi reali sul debito sono quelli dei politici, per i quali le situazioni
di emergenza sono comode per non cambiare nulla e continuare a nutrire mostri
pubblici come le municipalizzate (caso Atac Roma ), sistemi di privilegi,
amicizie e radicare sempre più nei territori i loro interessi particolari
continuando a non fare il bene del Paese. Le generazioni dei giovani sono state
bruciate dagli investimenti sbagliati delle generazioni precedenti, questo
è il grande punto del passaggio intergenerazionale, questa è la vera realtà. Sono
stati dati poteri e capitali a manager incompetenti verso i quali si è espressa
per molto tempo un’incondizionata fiducia, mentre si abbandonavano figli
davanti alle tv e si raccontava loro le favole del posto fisso, dei diritti dei
lavoratori ed altre amenità anacronistiche.
L’Italia
merita di più dai suoi figli. Dal capitale umano italiano sono nate idee di
bellezza uniche nello stile, nella capacità di comunicare, nella forza. E’
arrivato il momento di investire nei giovani, nelle Startup, aiutare i ragazzi
a fallire, a rialzarsi, a combattere per costruire la propria realizzazione. E’
arrivato il momento di cambiare strada, di camminare verso forme nuove di
sostegno alle idee come il crowdfunding, di uscire da logiche di sistema,
soprattutto laddove il sistema ha fallito, di attrarre talenti e di creare
opportunità, perché la vera finanza serve a questo.
Basta
Btp, basta dar capitali a chi spreca, è giunto il tempo di “affamare la
Bestia”.
E’
necessario investire nell’Europa e nel presente e futuro dei ragazzi per dar
loro speranza e fiducia nel futuro.
Daniele Rippa
Tutto ampiamente condivisibile e (purtroppo) vero. Ma quali speranze ci sono di cambiamento, quando sono gli stessi cittadini, sia padri che figli, a non volerlo? Cambiare mentalità è un processo lungo
RispondiEliminaI buoni fruttiferi a 12 anni sono scesi a 2.45% annuale netto, i conti deposito bancari (biennali) arrivano a 2.60%
RispondiEliminaNon è più nemmeno economicamente conveniente investire in titoli di stato.