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28 febbraio 2014

Marino, Campione di “Tiro alla Giacchetta”

Dopo il ritiro del decreto detto Salva-Roma da parte del governo, è ritornata in auge la “telenovela” riguardante il destino finanziario della capitale. Tutto nasce nella primavera del 2013 quando, in piena campagna elettorale, la compagnia di rating Fitch rende note le sue analisi a proposito dei conti della capitale: l’amministrazione Alemanno lascia in eredità un aumento del debito, lungo il quinquennio 2008-2013, pari ad un miliardo di euro. È il dissesto.

Roma non è nuova a problemi finanziari. Vi era già incappata nel 2008, quando, per far fronte ad un buco dell’ordine di 8 miliardi di euro, il governo Berlusconi, in deroga alla legge, trasferisce il debito della capitale ad una struttura governativa creata ad hoc – in pratica, una sorta di Bad Company. A capo della stessa, viene messa il neoeletto Alemanno, in barba ad ogni basilare principio sui conflitti di interessi. Questo ha permesso alla gestione ordinaria di restare libera da vincoli. Incredibilmente, questa libertà è stata usata per creare nuovo debito.

La richiesta del neo-sindaco Marino è quella di poter spostare il nuovo debito contratto dalla precedente giunta Alemanno – che Marino quantifica in “soli” 836 milioni – allo stesso organo commissariale già usato per salvare Roma nel 2008. D’altronde, perché Alemanno si e lui no? Arriva addirittura a minacciare, nel caso le sue richieste non vengano accolte, di “bloccare la città”, dato che non avrà i soldi per pagare i dipendenti che lavorano per il comune!

La procedura per gestire gli enti locali in dissesto, tuttavia, è radicalmente diversa. Il “Testo Unico sulle Autonomie Locali” prevede che un ente sia dichiarato “in dissesto” nel caso lo stesso non possa ”garantire l'assolvimento delle funzioni e dei servizi indispensabili ovvero esistono nei confronti dell'ente locale crediti liquidi ed esigibili di terzi cui non si possa fare validamente fronte.” A questo punto, l’ente deve richiedere il commissariamento, e perde sostanzialmente la propria autonomia di bilancio. L’erogazione dei servizi essenziali non viene comunque messa in discussione – anzi, il commissariamento ha come uno degli obbiettivi quello di garantire l’erogazione dei medesimi.

Le minacce di Marino, perciò, suonano più che altro come un bluff. Non si capisce inoltre perché Roma non debba essere commissariata, dato che il sindaco stesso ammette che sussistono le condizioni che rendono necessario il commissariamento. La posizione di Marino risulta anche poco comprensibile dato che, essendo ad inizio mandato, nessuno può ragionevolmente attribuirgli le colpe del dissesto. Potrebbe essere un maniera di tutelare i propri cittadini da un possibile aumento di tasse -  a discapito, ovviamente, dei cittadini delle amministrazioni virtuose.

La perdita di sovranità del comune di Roma, tuttavia, potrebbe avere conseguenze indesiderate per il neo-sindaco ben più gravi. Roma, stando a quanto scrive Rizzo sul Corriere il 7 Gennaio, vanta una platea sterminata di partecipazioni, società controllate e investimenti in pacchetti azionari. Secondo i dati riportati dall’autore, la capitale vanta “Ventisei società, più una marea di controllate: oltre cinquanta quelle di Acea (energia e acqua), Ama (rifiuti) e Atac (trasporti).” Il quadro risulta ancora più sconcertante leggendo i dati sull’occupazione: soltanto i dipendenti diretti del comune ammontano a 25.000, cifra paragonabile ai 26.800 dei dipendenti Fiat Fabbrica Italia. Quelli delle partecipate comunali ammontano invece a ben 37.000 (stando ai dati sempre forniti da Rizzo, circa l’85% sono impiegati proprio in Acea, Ama e Atac). Il commissariamento di Roma, potrebbe comportare severi tagli a questa jungla di partecipazioni: ipotesi verosimilmente poco gradita a Marino, che già si era opposto alla cessione di ACEA.

La presa di posizione di Marino sembra più che altro un tentativo di “tirar la giacchetta” a “mamma-stato” perché, ancora una volta, chiuda un occhio sulle bad-practice portate avanti dalla classe dirigente capitolina, e gli consenta di avere le mani libere nel gestire i propri conti e, più in particolare, di continuare ad usare quel dispendioso parco giochi per politici che è costituito dalle società partecipate. Tutto questo, a discapito dei cittadini delle amministrazioni virtuose, che si ritroveranno, ancora una volta, a pagare il conto.


Giandomenico Ciccone


1 commento:

  1. Ci risiamo,con la trippa. diritti acquisiti....non se ne può più

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