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28 febbraio 2014

Marino, Campione di “Tiro alla Giacchetta”

Dopo il ritiro del decreto detto Salva-Roma da parte del governo, è ritornata in auge la “telenovela” riguardante il destino finanziario della capitale. Tutto nasce nella primavera del 2013 quando, in piena campagna elettorale, la compagnia di rating Fitch rende note le sue analisi a proposito dei conti della capitale: l’amministrazione Alemanno lascia in eredità un aumento del debito, lungo il quinquennio 2008-2013, pari ad un miliardo di euro. È il dissesto.

Roma non è nuova a problemi finanziari. Vi era già incappata nel 2008, quando, per far fronte ad un buco dell’ordine di 8 miliardi di euro, il governo Berlusconi, in deroga alla legge, trasferisce il debito della capitale ad una struttura governativa creata ad hoc – in pratica, una sorta di Bad Company. A capo della stessa, viene messa il neoeletto Alemanno, in barba ad ogni basilare principio sui conflitti di interessi. Questo ha permesso alla gestione ordinaria di restare libera da vincoli. Incredibilmente, questa libertà è stata usata per creare nuovo debito.

La richiesta del neo-sindaco Marino è quella di poter spostare il nuovo debito contratto dalla precedente giunta Alemanno – che Marino quantifica in “soli” 836 milioni – allo stesso organo commissariale già usato per salvare Roma nel 2008. D’altronde, perché Alemanno si e lui no? Arriva addirittura a minacciare, nel caso le sue richieste non vengano accolte, di “bloccare la città”, dato che non avrà i soldi per pagare i dipendenti che lavorano per il comune!

La procedura per gestire gli enti locali in dissesto, tuttavia, è radicalmente diversa. Il “Testo Unico sulle Autonomie Locali” prevede che un ente sia dichiarato “in dissesto” nel caso lo stesso non possa ”garantire l'assolvimento delle funzioni e dei servizi indispensabili ovvero esistono nei confronti dell'ente locale crediti liquidi ed esigibili di terzi cui non si possa fare validamente fronte.” A questo punto, l’ente deve richiedere il commissariamento, e perde sostanzialmente la propria autonomia di bilancio. L’erogazione dei servizi essenziali non viene comunque messa in discussione – anzi, il commissariamento ha come uno degli obbiettivi quello di garantire l’erogazione dei medesimi.

Le minacce di Marino, perciò, suonano più che altro come un bluff. Non si capisce inoltre perché Roma non debba essere commissariata, dato che il sindaco stesso ammette che sussistono le condizioni che rendono necessario il commissariamento. La posizione di Marino risulta anche poco comprensibile dato che, essendo ad inizio mandato, nessuno può ragionevolmente attribuirgli le colpe del dissesto. Potrebbe essere un maniera di tutelare i propri cittadini da un possibile aumento di tasse -  a discapito, ovviamente, dei cittadini delle amministrazioni virtuose.

La perdita di sovranità del comune di Roma, tuttavia, potrebbe avere conseguenze indesiderate per il neo-sindaco ben più gravi. Roma, stando a quanto scrive Rizzo sul Corriere il 7 Gennaio, vanta una platea sterminata di partecipazioni, società controllate e investimenti in pacchetti azionari. Secondo i dati riportati dall’autore, la capitale vanta “Ventisei società, più una marea di controllate: oltre cinquanta quelle di Acea (energia e acqua), Ama (rifiuti) e Atac (trasporti).” Il quadro risulta ancora più sconcertante leggendo i dati sull’occupazione: soltanto i dipendenti diretti del comune ammontano a 25.000, cifra paragonabile ai 26.800 dei dipendenti Fiat Fabbrica Italia. Quelli delle partecipate comunali ammontano invece a ben 37.000 (stando ai dati sempre forniti da Rizzo, circa l’85% sono impiegati proprio in Acea, Ama e Atac). Il commissariamento di Roma, potrebbe comportare severi tagli a questa jungla di partecipazioni: ipotesi verosimilmente poco gradita a Marino, che già si era opposto alla cessione di ACEA.

La presa di posizione di Marino sembra più che altro un tentativo di “tirar la giacchetta” a “mamma-stato” perché, ancora una volta, chiuda un occhio sulle bad-practice portate avanti dalla classe dirigente capitolina, e gli consenta di avere le mani libere nel gestire i propri conti e, più in particolare, di continuare ad usare quel dispendioso parco giochi per politici che è costituito dalle società partecipate. Tutto questo, a discapito dei cittadini delle amministrazioni virtuose, che si ritroveranno, ancora una volta, a pagare il conto.


Giandomenico Ciccone


Question time con Carlo Stagnaro



Prosegue l'appuntamento "Question time con" la serie di chiaccherate a tema organizzate dal forum Giovani per Fare. Questa volta abbiamo cambiato tema, mettendo da parte l'economia in senso stretto e parlando invece di energia, trasporti, rifiuti e concorrenza.

L'ospite di questa settimana è Carlo Stagnaro, direttore Ricerche e studi dell'Istituto Bruno Leoni, per il quale si occupa appunto di economia dell'energia ed economia dei servizi pubblici. È inoltre editorialista per Il Foglio e per Il Secolo XIX, e tiene un blog a quattro mani con Alessandro Serravalle su HuffingtonPost:
http://www.huffingtonpost.it/carlo-stagnaro/
Inoltre, ricordiamolo, è tra i primi fondatori di Fermare il Declino.


Buona visione!



In alternativa il collegamento diretto al video è il seguente:

27 febbraio 2014

Streaming e pizzini

È balzata ieri agli onori della cronaca la notizia dell'espulsione dei quattro senatori Orellana , Battista , Campanella e Bocchino dal Movimento 5 Stelle , dovuta al fatto che questi esponenti hanno criticato lo stile utilizzato da Beppe Grillo durante le consultazioni con l'attuale presidente del consiglio Matteo Renzi. Nella giornata di oggi sono poi seguite ulteriori defezioni dal Movimento , distribuite tra Camera e Senato.

Con questi dati alla mano , è indubbio che Grillo abbia commesso un errore imperdonabile a comportarsi in quel modo, anteponendo la sua opinione di non andare alle consultazioni, a quella espressa dal sondaggio effettuato tramite la rete. Ha fatto infatti riemergere dubbi sempre più oggettivi sul reale grado di democrazia presente nel Movimento 5 Stelle ed ha generato le prime scosse telluriche tra i senatori.

Un'ulteriore stoccata ricevuta dai pentastellati riguarda la mossa, tatticamente molto scaltra , effettuata da Matteo Renzi tramite i pizzini inviati a Luigi di Maio . Secondo chi vi sta scrivendo, i "pizzini" hanno messo ulteriormente in luce la scarsa voglia di dialogo del Movimento con le altre forze politiche , nonostante le continue proposte portate nelle commissioni , tanto sbandierate dagli esponenti grillini.

Riflettendo però sugli esponenti "transfughi" del Senato conviene bypassare il trito dibattito su quanto Grillo e Casaleggio siano o meno dittatoriali o democratici , e analizzare un aspetto forse meno alla luce del sole.Può infatti essere legittimo che il comico genovese pretenda unità nell' azione del Movimento , ma non alle condizioni poste attualmente in Costituzione. Se si pretende ortodossia però , i parlamentari più fedeli alla linea Grillo/Casaleggio dovrebbero cominciare a portare in sede di discussione una modifica dell'articolo 67 riguardante l'assenza di vincolo di mandato nell'esercizio delle funzioni parlamentari , per cui non si può pretendere che 160 parlamentari la pensino esattamente come il loro leader .



Nicolò Guicciardi 

26 febbraio 2014

Liberali ed europeisti italiani unitevi!

Giovani esponenti di Fare per Fermare il Declino, Partito Federalista Europeo, Partito Liberale Italiano, Centro Democratico, Scelta Civica ed alcuni liberali indipendenti hanno deciso di creare questo video. E' un appello accorato per esortare i leader liberali ed europeisti italiani a fondere la galassia dei loro partiti sotto la stella di un'unica grande lista liberale, europeista, italiana. Il gruppo Giovani per Fare sostiene compatto questa coraggiosa iniziativa.


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24 febbraio 2014

Alzare il tiro è sempre un pericolo

Nel fine settimana appena trascorso abbiamo assistito all'effettiva entrata in carica del governo Renzi I tramite il giuramento al Quirinale di sabato e il primo discorso a Palazzo Madama dell'ex sindaco gigliato, ora in veste di premier.
Dopo avere assistito alle solite polemiche di routine, obiettivamente anche sensate, sulla squadra di governo presentata venerdì e su cui verrà fatta qui di seguito una riflessione, è importante commentare quello che è stato il discorso ad ampio raggio effettuato oggi al Senato.
Per chi vi scrive fa, o almeno dovrebbe far piacere, che molti degli argomenti affrontati negli ottanta minuti a "braccio" da parte del premier fiorentino, sono colonne portanti delle riforme elencate nei famosi dieci punti del programma di Fare per Fermare il Declino.
Spiccano infatti la riduzione del cuneo fiscale (addirittura con un decremento a doppia cifra, ndr), la valutazione dei dirigenti e burocrati della pubblica amministrazione e la riforma della giustizia, per troppi anni sottoposta a "derby ideologici". Non sono mancate poi alcune stoccate verso i senatori dell'ala pentastellata, riguardanti la guida "non democratica" di Beppe Grillo, forse anche alla luce delle
consultazioni in streaming.
Sicuramente molto ambizioso il programma del primo governo a guida Matteo Renzi, ma le perplessità su tutto ciò restano, e anche in maniera insistente.
Viene infatti da domandarsi dove sia il radicale cambiamento tanto paventato dal presidente del consiglio, quando molti nomi della squadra attuale sono gli stessi del precedente governo Letta ed alcuni di questi sono rappresentanza palese di lobby consistenti nel nostro paese quali Legacoop e Comunione Liberazione. Inoltre della raccomandazione, vedasi il caso Marianna Madia (per cui il sottoscritto vi segnala un accattivante articolo del matematico Piergiorgio Odifreddi sul suo blog), che ha ben poco a che fare con la meritocrazia.
In secondo luogo viene da domandarsi, come già spiegato in precedenti articoli, come si reperiranno le risorse per quelle che sono le riforme chiave da effettuare, se non con un radicale taglio alla spesa pubblica che già il governo Letta ha dimostrato di non riuscire a mandare in porto.
Spezzando però una lancia verso l'attuale esecutivo, vi sono due punti che preme mettere in evidenza.
Per prima cosa questo governo nasce privo di ricatti berlusconiani sull'abolizione di una tassa, verificatasi poi non sostenibile dal punto di vista delle coperture. Se Alfano e il suo Nuovo Centrodestra intendono rosicchiare voti a Forza Italia, sia per le imminenti elezioni europee che per le future, ma forse non troppo, elezioni politiche; allora ha tutto l'interesse a collaborare all'ambizioso traguardo renziano di "una riforma al mese".
La seconda e conclusiva riflessione fa riferimento alle lobby e ai gruppi di interesse rappresentati in questo governo. Vi è quindi la possibilità che importanti e radicali riforme, difficilmente attuabili in un paese dall'assetto frammentato e corporativo come il nostro
, siano più facilmente perseguibili tramite un esecutivo che fotografi questi gruppi e magari ne freni le spinte conservatrici.
E voi la dareste la fiducia?

Nicolò Guicciardi

20 febbraio 2014

Fare in strada

Cosa si fa il sabato mattina, dopo una lunga e faticosa settimana di studio e lavoro? Si sta a letto fino a tardi? Ci si gode in poltrona l’inizio del famigerato week end? Noi di Fare di Bologna no!
Ecco che potete trovare, lungo Via dell’Indipendenza, tra il musico di strada e la caldarrostaia, il banchetto dei volontari di Fare, armati della petizione “Non più alto del Colle”.

La prima frase che ho sentito partecipando ad uno dei banchetti?

“Altro che Fare...bisognerebbe SPARARE per fermare il declino!”
Risposte simili, più o meno cruente, si alternano durante tutta la mattinata. Il malcontento per la strada si respira distintamente. Un attivista in una mattina accumula una quantità smisurata di occhiatacce, sguardi di sufficienza, risposte serrate di chi rifiuta anche un volantino o troppo poco serrate di chi si sfoga per l’inettitudine della politica e la situazione del paese.
Spiegare che noi, al Governo, non siamo nemmeno saliti è piuttosto inutile, forse perché la gente è stufa di ascoltare opinioni altrui o ricette di presunti sapienti e almeno lì, in piazza, vuole dire la sua.
Lungo le vie dei cittadini le giustificazioni dei piani alti non hanno valore, i paroloni che imperversano sui giornali o in televisione sono nudi e indifesi di fronte alla vita reale: inquietudine e delusione ti arrivano dritte in faccia, e l’impatto non è morbido.

Tuttavia in un contesto generale così poco roseo gli episodi positivi acquistano una maggiore significatività ed è incoraggiante vedere che nonostante la diffidenza iniziale tramite il dialogo si riesce a trasformare l’atteggiamento infastidito dei passanti in uno interessato, merito anche dell’ampia condivisibilità dell’iniziativa “Non più alto del Colle” che sembra quasi firmarsi da sola per le strade.

Esporsi con un banchetto è essenziale per due motivi, che vanno da quelli più strategici per il nostro movimento volti a prendere fisicamente la visibilità che non abbiamo, a quelli umani. Metterci la faccia, spiegare perché crediamo in questo progetto pone l’attenzione su quello che dovrebbe essere il tema focale della politica: le persone. E sono infatti le persone protagoniste dei nostri sabato mattina, persone come i cittadini, come i volontari-amici al nostro fianco, come noi stessi.

E per concludere... Sapete cosa può fare davvero la differenza in un banchetto? La presenza dei giovani. Perché ad un ragazzo è più difficile dire di no o scrollare la testa, un ragazzo è capace di dare fiducia, destare interesse e dimostrare che non è mai tardi per fare qualcosa.

Per dirla con una frase della Thatcher:
I giovani non dovrebbero essere inattivi. Gli fa molto male.”



Chiara Bastianelli

19 febbraio 2014

Corruzione? Una legge in più e mille leggi in meno

Sono passate due settimane da quando la Commissione europea ha presentato al Consiglio ed al Parlamento europeo  la sua relazione sulla lotta alla corruzione. Come si è potuto apprendere dalle notizie di cronaca, la situazione italiana, minuziosamente descritta ed illustrata in un documento allegato al report, è a dir poco allarmante. Nonostante, secondo un recente sondaggio Eurobarometro, soltanto il 2% degli imprenditori intervistati dichiari di essere stato raggiunto da richieste di pagamento di tangenti, il 97% degli stessi percepisce la corruzione come un fenomeno diffuso e dilagante all’interno della nostro Paese.

Il costo della corruzione ai danni dello Stato è stato stimato dalla Corte dei Conti in una somma pari a 60 miliardi di euro e, dunque, a circa il 4% del PIL.  Operando un paragone con gli altri paesi dell’Unione, secondo quanto riportato dalle statistiche di Transparency International sulla trasparenza nel settore pubblico, basata sulla percezione della corruzione all’interno delle amministrazioni statali, l’Italia sarebbe confinata alle ultime posizioni, seguita soltanto da Bulgaria, Grecia e Romania. A prescindere dall’effettiva veridicità dei dati numerici, è senz’altro indiscutibile che il fenomeno, in Italia, rappresenti una vera e propria piaga sociale, che contamina trasversalmente ogni ambito della nostra comunità, da quello pubblico a quello privato, da quello produttivo a quello dei servizi. I risultati del report della Commissione europea appaiono significativi, anche in quanto lasciano intendere che la riforma operata con la legge 190 del 2012, recante la rubrica “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione” abbia, in verità, portato ben pochi risultati concreti.

Il primo motivo di inefficienza, legato alle modalità di redazione della legge, riguarda senz’altro la scarsa funzionalità della riforma, nella parte in cui ha introdotto l’ipotesi di reato della cd. corruzione tra privati. Il modo in cui è stata strutturata rende assolutamente inconcepibile un'emersione spontanea del fenomeno, ad esempio attraverso il meccanismo della denuncia: infatti, da un lato, sono puniti allo stesso titolo sia il corrotto che il corruttore; dall’altro, non sono previsti meccanismi che incentivino il corrotto al quale viene offerta una tangente o, viceversa, il soggetto che viene indotto dal funzionario a pagare una somma non dovuta per il compimento o l’omissione di un atto del proprio ufficio, a desistere dal compimento dell’illecito ed a denunziare l’accaduto. L’unico merito della l. 190/2012, in effetti, consiste nell’allungamento del termine di prescrizione e dell’inasprimento delle pene.
I membri delle numerosi associazioni che, negli ultimi anni, si sono formate per analizzare e contrastare il fenomeno, sono abbastanza concordi nel ritenere che tale inefficienza sia dovuta, aldilà della scarsa incisività della riforma, sostanzialmente, ad altri tre fattori.

Il primo motivo è così radicato nelle consuetudini della nostra penisola, da essere già stato individuato dal celebre storico Tacito, laddove ammoniva: “Corruptissima republica plurimae leges”. In effetti, un sistema giuridico come il nostro, denso di normative complesse, talvolta imprecise, spesso mal coordinate e in antinomia tra loro, aumenta, a favore di chi intende violare la legge, le possibilità di eludere con successo i suoi precetti. Come dice il prof. Davide Grignani, la complessità è l’humus della corruzione. 

Ciò appare tanto più vero, qualora si prenda in considerazione anche il secondo elemento che contribuisce, in qualche misura, alla proliferazione del fenomeno, vale a dire l’inefficienza della pubblica amministrazione. L’eccessiva burocratizzazione dei servizi pubblici rende assai poco snello il procedimento che il cittadino dovrebbe affrontare per ottenere il soddisfacimento di un proprio interesse, anche legittimo. In tal modo, si creano le condizioni affinché colui che si rivolge alla pubblica amministrazione, consapevole della sua lentezza ed inefficienza, preferisce, razionalmente, ricorrere alle tangenti per ottenere con rapidità e certezza ciò che intendeva richiedere.

Il meccanismo è simile a quello che molti conosceranno, per cui, in ambito sanitario, il soggetto privato che ha rapporti di amicizia o di conoscenza con il funzionario della struttura sanitaria, si rivolge direttamente a quest’ultimo per ottenere una riduzione dei tempi di attesa della visita, scavalcando il cittadino comune che, naturalmente, è inserito in una lista di attesa interminabile. Ovviamente, nel caso appena citato, non siamo in presenza di una vera e propria violazione di legge e, tanto meno, di un’ipotesi di corruzione, difettando, peraltro, l’esistenza di un’utilità o guadagno in favore del funzionario che permette al conoscente di “saltare la fila”. Quello che si vuole dire è che, con una pubblica amministrazione così lenta, inefficiente e burocratizzata, la verità è che razionalmente la corruzione conviene.

L’ultimo fattore, ancora una volta legato inscindibilmente ai due precedenti, è confermato anche storicamente da dati empirici: la pervasiva e capillare presenza dello Stato nelle principali attività economiche del Paese. La presenza di società pubbliche o la partecipazione pubblica in società di private di interesse strategico favorisce il verificarsi di conflitti di interessi ed altre situazioni in cui la scarsa trasparenza facilita la diffusione di clientelismi, tangenti, scambi di favori. In buona sostanza, quando la partecipazione statale nel prodotto interno lordo di un Paese supera una certa soglia, c'è una sorta di proporzionalità diretta tra l’ingerenza dello Stato e l’espansione della corruzione.

Probabilmente, accanto ad un'imprescindibile opera di semplificazione normativa, di snellimento dei procedimenti amministrativi e ad un piano di privatizzazione non improvvisato, per combattere con successo la corruzione è comunque necessaria una rivoluzione culturale. Resta chiaro, infatti, che in un Paese nel quale la considerazione sociale non dipende dal concetto di “merito” ma dalla capacità di accumulare denaro “a qualsiasi costo” e “con qualsiasi mezzo”, i vertici delle organizzazioni rappresentative delle associazioni di imprenditori e di industriali non fungono, come dovrebbero, da modelli e  prendono in considerazione quale strumento primario di giudizio il fatturato. La spiacevole contestazione di qualche giorno fa, mossa da Elkann a Della Valle (“Della Valle è un nano. Pensi a Tod’s che va male!”) lascia trasparire quanto questa mentalità sia profondamente radicata ai vertici del nostro sistema industriale.  “Ma che credibilità pensi di avere tu, considerato che io fatturo più di te?”

Per combattere la corruzione, prima ancora di ridurre il numero delle leggi, di trasformare la pubblica amministrazione in un apparato efficiente, di elaborare un piano di privatizzazioni, occorre, forse, cercare di diffondere l’idea che il conseguimento di un risultato assume valore autentico soltanto quando è la meritata conseguenza di un impegno serio.



David Mascarello

18 febbraio 2014

Goodbye Oscar, anche se...

Premessa , quello di oggi vuole essere un articolo personale e controcorrente, forse ancora di più visto l'imminente congresso nazionale che Fare - per Fermare il Declino terrà a Firenze il 9 di marzo.
Questo perchè , come i maggiori e più assidui seguaci del partito definito "turboliberista" da alcuni e semplicemente "razionale e pragmatico" da chi vi sta scrivendo, oggi è l'anniversario di una triste notizia per tutti coloro che si erano galvanizzati nell'avere trovato un nuovo movimento in cui credere e mettere passione. 

La triste notizia era che l'allora candidato premier Oscar Giannino aveva millantato l'esistenza di master e laurea in economia alla Chicago University e una volta scoperto grazie al controllo di uno dei sette fondatori Luigi Zingales (vero professore a Chicago), procedette poi alle immediate dimissioni .

È quindi sperabile che questo contributo alternativo e incandescente, possa rigenerare dibattito e scuotere nuovamente le coscienze. Premettendo che il lavoro che sta portando avanti Michele Boldrin, da maggio nuovo coordinatore nazionale del partito, è assolutamente definibile come certosino e molto apprezzabile dal punto di vista dell'impegno e del dialogo con svariate forze politiche di stampo liberal, è bene fare uno strampalato paragone e quindi una considerazione.

Ricordate la famosa rock band italiana dei Litfiba ? Gli estimatori musicali sicuramente ricorderanno il declino in termini di successo che avvenne dopo la dipartita del carismatico e trascinante cantante Piero Pelù , nonostante la bravura e professionalità dei musicisti. Senza stare a narrare tutta la storia della band in un blog politico , è bene precisare che cosa è avvenuto dopo la reunion del 2009 col ritorno di Pelù , ossia palazzetti pieni e successo sfolgorante nonostante gli errori commessi in passato, di cui i fan non si sono per nulla curati.

L'interrogativo che ci si pone quindi è il seguente ; si può confrontare questa storia con un possibile rientro di Oscar Giannino , anche solo come comunicatore e megafono del partito, lasciando a Boldrin tutte le competenze di tipo istituzionale?
Al sottoscritto piace credere che, se i Litfiba hanno ricominciato a riempire i palazzetti, con il ritorno di Giannino in Fare - per Fermare il Declino si possa ricominciare a riempire, in questo caso, le urne e superare gli attriti degli ultimi mesi per potere contare davvero qualcosa in parlamento, anche considerando il fatto che gli italiani , cosi come i fans della band fiorentina, hanno la memoria corta .
A voi il dibattito cari lettori, ma senza scannarsi, sia chiaro!



Nicolò Guicciardi

14 febbraio 2014

Dalla staffetta può nascere uno statista?

Giornata intensissima quella di ieri, costellata dalla direzione lampo nella sede del Partito Democratico al Nazareno in cui Matteo Renzi ha liquidato l'esecutivo Letta con un discorso durato poco più di mezz'ora. Il segretario gigliato ha richiamato alla necessità di procedere speditamente per uscire dalla palude e dall'immobilismo, con un nuovo governo da lui guidato che sappia portare avanti con maggior vigore le riforme in agenda.

Oggi poi il premier Enrico Letta è salito al Quirinale dal Presidente della Repubblica Napolitano per presentare le dimissioni da lui definite irrevocabili, portando quindi all'avvio delle consultazioni. A differenza del solito, chi vi scrive vorrebbe per oggi mettere nel cassetto il tono critico che solitamente viene utilizzato. Già troppi infatti hanno gridato alla fretta eccessiva e alla mossa suicida e brutale che porterà inevitabilmente il segretario democratico nell'oblio e a bruciarsi gran parte dei consensi. Forse è il caso invece di spezzare una lancia verso Matteo Renzi che, diciamocelo fuori dai denti, è l'unico personaggio nello scacchiere politico che è riuscito a smuovere, seppur in maniera criticabile e alle volte pressapochista, alcune riforme decisive e importanti per l'Italia come il Job Act e la legge elettorale. Detto ciò, non si può fare altro che un grande in bocca al lupo al segretario democrat per la durissima missione che si appresterà a portare avanti nei prossimi giorni, non tanto per il suo successo personale quanto per il futuro del nostro paese.

Ora, i più scettici, giustamente, obiettano il fatto che non sia possibile, per prima cosa, generare cambiamento e innovazione quando la pratica con cui è tramontato l'esecutivo Letta e sta sorgendo il Renzi I è molto simile alle staffette in stile democristiano tipiche dell'era Rumor nella prima Repubblica. In secondo luogo, si nota l'illegittimità di un nuovo presidente del consiglio che è ancora meno di Letta espressione del risultato elettorale scaturito dopo le scorse elezioni. Almeno Letta era stato almeno eletto in parlamento dai cittadini.

Sono entrambe due obiezioni sensate senza dubbio, ma alla fine di cosa ci lamentiamo in Italia quando il"metodo Renzi" è forse il più ortodosso se pensiamo al fatto che per le consultazioni nei prossimi giorni, al Colle si presenterà un condannato in via definitiva per Forza Italia, e lo stesso Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha dichiarato dopo la rielezione di avere un mandato a termine, violando palesemente l'articolo 85 della Costituzione.

Viene quindi da pensare che per riformare un paese culla del paradosso, un azione come quella di Renzi possa essere un buon inizio. Staremo a vedere.


Nicolò Guicciardi

13 febbraio 2014

Conversazione con Luigi Zingales del 12/02/2014



Come promesso, prosegue l'appuntamento con le interviste in videochat dei ragazzi di Giovani per Fare. L'ospite di questo mercoledì è stato Luigi Zingales, a cui abbiamo posto numerose domande circa la politica economica europea e italiana, e con una bella sorpresa nel finale!


Buona visione!





Oppure questo è il collegamento alla registrazione:
http://www.youtube.com/watch?v=w9UEtk45kvo

12 febbraio 2014

Il maialino si fa una canna

La notizia di oggi , passata in secondo piano viste le turbolenze che martellano il governo presieduto da Enrico Letta , riguarda la dichiarazione di incostituzionalità, da parte della consulta della Corte Costituzionale, della legge Fini-Giovanardi in materia di sostanze stupefacenti datata anno 2006.
Tale provvedimento equiparava sostanzialmente il consumo delle droghe leggere quali cannabis o hashish a quello delle droghe pesanti come eroina e cocaina. Rientra quindi in vigore la legge precedente a questa in materia di regolazione del consumo di droghe, ossia la Jervolino-Vassalli che prevedeva invece un trattamento diverso in base al tipo di stupefacenti consumati.
Tralasciando il discorso inerente alla possibilità di combattere o meno il consumo di sostanze stupefacenti, che genererebbe senza alcun dubbio notevoli polemiche visti gli orientamenti ideologici che ognuno di noi legittimamente ha, è doveroso però indicare quali sono stati gli esiti effettivi seguiti all'entrata in vigore della Fini-Giovanardi.
È un dato di fatto che il sovraffollamento delle carceri abbia senza dubbio avuto un incremento importante dovuto alla non remota possibilità, per chi consumava uno spinello o deteneva un valore non certo elevato di grammi di sostanze stupefacenti considerate "leggere", di finire in carcere.
Allo stato attuale quindi vi sono circa 10.000 persone che possono usufruire a loro favore dell'esito della sentenza di oggi da parte della consulta.
Grande soddisfazione si è levata dalle file del Partito Democratico da parte di Livia Turco che parla di fine di una legge a suo dire scellerata e, come ovvio, un ondata di disappunto si leva da alcuni esponenti del centrodestra, primo fra tutti lo stesso Carlo Giovanardi.
Chi vi scrive invece prova anch'egli disappunto, ma per il fatto che per l'ennesima volta la legittimità di un provvedimento che non può essere certo considerato irrilevante venga decretata a distanza di otto anni dalla Corte Costituzionale il che, dopo la dichiarazione di incostituzionalità di parti del Porcellum, è sintomo di una politica totalmente inerme ed elefantiaca quando si tratta di prendere decisioni.
Naturalmente , giusto per menzionare anche la notizia principale odierna, nemmeno se Matteo Renzi si mettesse a guidare un governo da una maggioranza raccogliticcia e "multicolor", si riuscirebbe ad avere un'efficacia decisionale, che sarebbe in ogni caso costellata di limitazioni, di un esecutivo guidato da una sola parte politica

Nicolò Guicciardi

11 febbraio 2014

Manovre e complotti

Risale a ieri la notizia che, come un fulmine a ciel sereno , ha distolto per l'ennesima volta l'attenzione dai problemi più rilevanti del paese.
Il noto giornalista britannico Alan Friedman, ha riportato nel suo ultimo libro "Ammazziamo il gattopardo" un intervista fatta all'ex Presidente del Consiglio Mario Monti , in cui emerge il fatto che vi fossero stati dei colloqui tra il presidente della Bocconi e il capo dello Stato Giorgio Napolitano nell'estate 2011, ben prima delle dimissioni dell'allora capo del governo Silvio Berlusconi.
Pare infatti che Napolitano, in un periodo che ricordiamo per essere stato l'apice della crisi della zona euro con conseguente rischio altissimo per l'Italia e innalzamento dello spread, avesse comunicato a Mario Monti di "mantenersi a disposizione" per guidare un nuovo esecutivo in grado di prendere urgenti misure di salvataggio dei conti italiani, in caso di estrema necessità.
Glissando sulle polemiche che si sono succedute in seguito a questa notizia, quali la ricerca di notorietà improvvisa da parte di Alan Friedman e le immediate grida al complotto franco-tedesco e all'invito al presidente della Repubblica a fare chiarezza, da parte di esponenti forzisti come Daniela Santanchè e Renato Brunetta, salvo poi uscire dall'aula della consulta durante il voto sulla richiesta pentastellata di impeachment verso Napolitano facendola bocciare , il che denota ancora una volta un grandissimo esempio di incoerenza, è importante fare alcune semplici ma chiarificatorie considerazioni su tutto ciò.
Chi vi scrive concorda abbastanza sulla tesi riguardante le spesso discutibili "invasioni di campo" e/o atteggiamenti discutibili da parte di Giorgio Napolitano, almeno dal punto di vista delle firme ad alcune leggi non proprio ortodosse , per usare un eufemismo.
È bene però ricordare anche la situazione che si era creata attorno al governo Berlusconi e la risicatissima maggioranza che poteva sostenerlo in parlamento. Dopo la dipartita di Gianfranco Fini e dei suoi uomini dal Popolo delle Libertà per poi fondare Futuro e Libertà è bene ricordare che in un'occasione il governo si salvò dalla sfiducia grazie alla manciata di voti degli allora "Responsabili" che vedevano in gruppo i nomi noti di Gaetano Scilipoti e Antonio Razzi, da poco fuoriusciti dall' Italia dei Valori.
In un simile quadro della situazione risulta quindi pressoché impossibile gridare ad un "complotto presidenzialista" se Napolitano parlò con Monti nel giugno del 2011.

Nicolò Guicciardi

10 febbraio 2014

L'austerità italiana risparmia solo i parassiti

La scorsa settimana, Giorgio Napolitano ha tenuto un importante discorso nella sede del Parlamento Europeo di Strasburgo. Il Presidente della Repubblica, nell’auspicare “una crescita sostenuta e qualificata attraverso riforme strutturali”, ha messo in guardia da “scelte irresponsabili e demagogiche di debiti e deficit eccessivi”. Tuttavia, ha invitato a “riflettere sul circolo vizioso ormai insorto tra politiche restrittive nel campo della finanza pubblica e arretramento delle economie europee”, rimarcando il concetto in maniera perentoria: “Si ritiene che una politica di austerità a ogni costo non regga più”.

Se applichiamo questa analisi al caso italiano, non possiamo non notare l’incompletezza del discorso. Nel nostro Paese, infatti, le politiche di austerità sono state applicate in maniera rigida dal 2011, ma non nei confronti di tutti. C’è una parte di Italia che subisce pesanti sacrifici sotto forma di aumento di tasse esistenti e introduzione di nuovi balzelli, c’è un’altra parte di Italia, invece, che l’austerità non sa neanche cosa sia.

Prendiamo l’ultima manovra di bilancio approvata dal parlamento a fine dicembre. La Legge di Stabilità è un chiaro esempio dell’austerità all’italiana, che colpisce i produttori e risparmia i parassiti, e rappresenta perfettamente i motivi per cui l’Italia è in declino.
Se sul fronte tasse non vi era alcuna novità sostanziale, a parte i nomi buffi dati alla tassa sui servizi locali, l’avvento della Web Tax e gli aumenti dell’imposta di bollo, in realtà i nostri parlamentari erano concentrati in un’attività in cui eccellono dai tempi della prima repubblica: l’assalto alla diligenza. Obiettivo: garantirsi la prossima elezione, inondando di quattrini il proprio feudo elettorale o i propri sponsor politici, attraverso l’approvazione di tante micro spese dalla dubbia utilità. Alla faccia dell’austerità.

E così nel 2014 100.000 € andranno alla Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea. Sempre l’anno prossimo spenderemo 200.000 € per uno studio di fattibilità per l’offerta trasportistica nello Stretto di Messina, oltre a 5.400.000 € per il trasporto marittimo veloce nella stessa area. La Scuola Cani Guida di Campagnano riceverà 300.000 € nel 2014, mentre gli enti vigilati dal Ministero della Difesa incasseranno 500.000 € all’anno nel periodo 2014-2016. Nel 2014 i contribuenti finanzieranno corsi di lingua e cultura italiana all’estero per 1.000.000 € e una collaborazione televisiva con la Repubblica di San Marino per 6.000.000 €. Fino al 2016 1.000.000 € all’anno andrà a coprire le attività di promozione sociale e di tutela degli associati svolte dalle associazioni combattentistiche, che prenderanno anche 1.500.000 € nei prossimi due anni per le celebrazioni del settantesimo anniversario della resistenza e della guerra di liberazione. Fortunati pure gli enti e le fondazioni vigilate dal Ministero dello Sviluppo Economico, che otterranno 1.000.000 € nel 2014 e 3.000.000 € nel 2015 e nel 2016. Oltre a essere prestigioso, il semestre di Presidenza italiana del Consiglio dell’Unione Europea è anche costoso: 2.000.000 € nel 2014 per le attività di comunicazione, 64.000.000 € nello stesso anno e 2.000.000 € nel 2015 per le attività operative. Triennio felice (2.000.000 € all’anno) per gli enti vigilati dal Ministero dell’Interno, per l’Istituto Italiano per gli Studi Storici e per l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici. 5.000.000 € verranno assegnati a favore della Fiera di Verona nel 2014, insieme a uno stanziamento di pari importo per fronteggiare l’emergenza del batterio Xyella fastidiosa.

In Italia, non solo si spende tanto, ma monitorare i costi costa: nel triennio 2014-2016, spenderemo 200.000 € all’anno per le attività di monitoraggio e di analisi della spesa in materia di attuazione delle opere pubbliche e 5.500.000 € all’anno per assumere 120 unità per vigilare sull’utilizzo dei fondi strutturali dell’Unione Europea; aggiungiamo 4.000.000 € nel 2014 e 2015 per il monitoraggio dei costi standard e il quadro in materia è completo. Le celebrazioni del centenario della Prima Guerra Mondiale ci costeranno 8.000.000 € nel 2014 e 5.000.000 € nel 2015 e 2016. Nel 2014 8.900.000 € pioveranno sugli enti vigilati dal Ministero dei Beni, delle Attività Culturali e del Turismo, insieme a un accantonamento annuale di 29.000.000 € nel prossimo triennio al Fondo Unico dello Spettacolo. Quest’anno i cittadini italiani pagheranno 35.000.000 € per l’emittenza radiotelevisiva locale, mentre le misure a sostegno dell’editoria ammonteranno a 50.000.000 € nel 2014, 40.000.000 € nel 2015 e 30.000.000 € nel 2016. Il cantiere interminabile della Salerno-Reggio Calabria è a corto di quattrini: ci pensa il governo a garantire 50.000.000 € nel 2014, 170.000.000 € nel 2015 e 120.000.000 € nel 2016 per il completamento dell’asse autostradale. Per finire in bellezza, 140.000.000 € all’anno nel periodo 2014-2016 saranno stanziati per interventi forestali in Calabria, manco fossimo in Canada.

E’ forse questa una politica improntata ad austerità? Vediamo di ripercorrere quello che è successo in Italia e che Napolitano e i rappresentanti dei partiti politici fingono di ignorare.
L’Unione Europea chiede ai Paesi aderenti all’euro il rispetto di un semplice vincolo di bilancio, pari al 3% del rapporto tra deficit e pil. Tale parametro può essere raggiunto in due modi: tassando di più, in modo da aumentare i ricavi dello Stato, oppure spendendo di meno, diminuendone i costi. L’opzione che i governi Prodi, Berlusconi, Monti e ora Letta hanno preferito è costituita dalla prima alternativa: hanno tassato fino all’inverosimile famiglie e imprese, evitando di ridimensionare e riorganizzare la spesa pubblica. L’apparato politico e burocratico, così, non è stato sottoposto ad alcuna cura dimagrante, necessaria dopo le scellerate politiche di spesa perseguite nel corso degli ultimi trent’anni; anzi, le maggioranze che si sono susseguite nelle recenti legislature hanno continuato ad assecondarne l’ingordigia attraverso decine di finanziamenti inutili. Lo Stato non ha mai sperimentato l’austerità su di sé, ma l’ha scaricata sui cittadini.

Il rigore dei conti pubblici a suon di tasse, che hanno messo in ginocchio interi settori produttivi dell’Italia, è il risultato della malafede e incapacità della classe politica, che ha fatto pagare ai privati i buchi di bilancio del pubblico. Le spese non tagliate della Legge di Stabilità sono lì a ricordarcelo.


Gabriele Marzorati

7 febbraio 2014

Lett...addio?


È di oggi la riunione dell'assemblea del Partito Democratico in cui il segretario Matteo Renzi ha lanciato un'ulteriore ondata di fibrillazione verso il governo in carica.
Il sindaco di Firenze ha menzionato il pacchetto di riforme istituzionali quali legge elettorale , modifica del Senato, che passerebbe ad essere composto da 150 membri quali sindaci delle principali città italiane e governatori locali, e riforma del Titolo V della Costituzione che a breve dovrebbe andare in porto.

La questione che ha messo in guardia il governo Letta si riassume nell'altolà che il segretario democratico ha lanciato, riguardante una probabile "verifica", datata 20 febbraio, sull'effettiva operatività dell'esecutivo nella realizzazione delle tanto decantate #coseconcrete da parte di Renzi su Twitter.

Si è infatti paventato da subito un ipotetico passaggio di staffetta del governo nelle mani del segretario PD; scelta poi dichiarata dallo stesso come molto improbabile, a patto che le voci acclamanti questa sorta di "rimpasto" non si facciano troppo numerose ed insistenti. È quindi un campo minato quello in cui si sta incamminando Matteo Renzi che, se dovesse per caso accettare il sopracitato passaggio di consegna, rischierebbe di logorarsi in maniera irreparabile, visto che nessuno al governo in un periodo del genere, specie se formato da due forze politiche opposte, sarebbe in grado di "fare miracoli", e quindi perdere un numero cospicuo di consensi in vista di future elezioni.

È infatti ben chiaro come il segretario democratico sia ben favorevole ad andare al voto al più presto, essendo assolutamente convinto di poter battere il suo diretto competitore, che con una legge elettorale come l'Italicum sarebbe con ogni probabilità il partito capitanato da Silvio Berlusconi. Se eventualmente poi dovesse vincere Renzi dovrà affrontare un'ulteriore incognita come quella delle alleanze, che essendo al momento particolarmente incerte, lasciano spazio ad un deja vu di veltroniana memoria nel 2008 con un PD in corsa solitaria e ad eventuali incidenti di percorso simili a quelli vissuti ai tempi del governo Prodi, in cui il Turigliatto di turno scardinò la allora fragilissima maggioranza al Senato.

L'augurio al sindaco gigliato è quindi, almeno questa volta , quello di non friggersi in padella come fece Achille Occhetto con la sua "gioiosa macchina da guerra" nel 1994 e come Pierluigi Bersani alle scorse elezioni politiche nel 2013.

Nicolò Guicciardi

5 febbraio 2014

Passo avanti o solito bluff?

In data odierna il Senato ha approvato il decreto riguardante i tagli agli sconti fiscali, di cui si era già ipotizzata una sforbiciata da parte del ministero dell'Economia circa una settimana fa.
Secondo il Tesoro , vi sarebbero infatti 720 forme di agevolazione fiscale, dette in gergo "spese fiscali", destinate ad una vasta gamma di settori.

Questa lunga serie di detrazioni comporterebbe una perdita di gettito fiscale stimabile in circa 250 miliardi di euro, di cui il Fondo Monetario Internazionale avrebbe identificato come "aggredibile", senza incappare nella cosiddetta macelleria sociale, una somma vicina a 60 miliardi di euro. Cifra senza dubbio alcuno, tutt'altro che trascurabile.

Qui però sorgono i primi interrogativi ; ci si chiede infatti se il governo utilizzerà questo via libera da parte di Palazzo Madama come alibi per tagliare le detrazioni in quei settori che vedono al centro dell'attenzione famiglia e sanità, oppure se procederà come auspicabile allo snellimento di quegli sconti fiscali identificabili come aiuti ad imprese ormai anacronistiche, che paradossalmente sono i più insidiosi da aggredire.

In questo grande calderone spiccano poi le agevolazioni destinate al settore della politica, come ad esempio lo scandaloso sconto sull'IVA riguardante l'acquisto di fiammiferi da parte delle camere e l'esenzione di IRES e IVA sui prodotti venduti alle manifestazioni politiche, che il governo potrebbe pensare di eliminare per dare il tanto decantato buon esempio


Nicolò Guicciardi


4 febbraio 2014

Liberali: uniti o si muore!

Se, come diceva Freak Antoni ai tempi degli Skiantos, in Italia non c'è gusto ad essere intelligenti, dagli ultimi spostamenti tattici nello scacchiere politico pare che non ci sia nemmeno più un gran gusto ad essere liberali nel bel paese.

Risale infatti a qualche giorno fa la notizia che il leader dell'Udc Pierferdinando Casini ha dichiarato il fallimento (chiaramente per mera convenienza personale e del suo partito) del progetto centrista, annunciando il suo ritorno in coalizione con il polo berlusconiano e mettendo in luce la sua straordinaria e innata abilità nella prostituzione politica.

Se i sondaggi non tradiranno le aspettative, sembra infatti assai possibile che una legge elettorale come l'Italicum e, di conseguenza, l'ingenuità di Matteo Renzi nel siglare l'accordo al Nazareno con il Cav, compromettendo seriamente l'eventuale alleanza con Sinistra Ecologia e Libertà, rischino di consegnare per l'ennesima volta il governo nelle mani di Berlusconi e dei suoi alleati, tra cui spiccherebbe probabilmente anche Angelino Alfano.

Premesso che si sta facendo in buona parte fantapolitica, visto che le certezze arriveranno solo a spoglio delle schede completato, uno scenario di questo tipo sarebbe una doccia gelata per l'elettorato liberale che si riconosce grossomodo in forze come Fare, Scelta Civica, oramai svuotata della parte popolare, e Centro Democratico. Esse si ritroverebbero con percentuali ridotte al lumicino e, anche se alleate ad uno dei due poli, fuori dal parlamento visto il non raggiungimento della soglia di sbarramento del 4,5% per i partiti in coalizione e dell'8% per quelli che corrono da soli.

L'unico modo per fare sorridere questa fetta di elettori sembra quindi inevitabilmente la creazione di un partito unico che racchiuda tali forze politiche e un solido leader, visto che gli italiani si dimostrano geneticamente legati all'uomo solo al comando, che guidi il "partito che non c'è” al fatidico traguardo dell'8%. Solo così si potrà evitare di morire democristiani.


Nicolò Guicciardi

3 febbraio 2014

Le teorie antieuro smontate con il buon senso - 4


Quarta puntata: Balle spaziali, l'uscita dall'Euro e il fondo salvastati


Manifestazione in Argentina
<<Kristina, oggi non mangio per venire a dirti:
"Ipocrita e Corrotta!">>
In questa ultima puntata parliamo dei benefici che, dicono gli antieuro, ci deriverebbero dall’uscita dalla moneta unica. Liberarci dall’infido giogo dei vincoli di bilancio europei, riappropriarci della sovranità monetaria, svalutare e stampare moneta a più non posso renderebbe i prodotti italiani i più competitivi del mondo e in un sol colpo ripianeremmo il debito pubblico (Ah, no! Quello non esiste per loro!) e ciò ci renderebbe ricchi, ricchissimi. Come no! Dopo i fuochi d’artificio c’è la banda, dicono a Igea Marina la notte di Ferragosto.
Finito lo spettacolo, cerchiamo però di tornare con i piedi per terra e vedere se questo è proprio vero. Molti di voi avranno sufficiente memoria dell’Italia pre-Euro per ricordarsi che non era poi questo Eden di ricchezza. In quell’Italia si poteva svalutare e stampare moneta, in quell’Italia l’inflazione era in doppia cifra, in quell’Italia c’era la scala mobile, in quell’Italia il pentapartito, grazie a queste politiche, ingigantiva enormemente la fossa del debito pubblico.
Ne deriva che i nostri eroi che si spacciano per il nuovo che avanza in realtà sono i portabandiera delle solite vecchie ricette le quali ci hanno condotto sul ciglio del baratro. Insistendo su di esse non si può che finirvi dentro.


Prima di addentrarci nel baratro in cui gli antieuro ci vogliono infilare vediamo invece quali sono i vantaggi che l’Euro ci ha portato e che costoro si guardano bene dal raccontarci.
L’Italia di allora, quella di Prodi, volle entrarvi a tutti i costi nell’Euro. L’ingresso nell’Euro ci costò una patrimoniale se ben ricordate. All’epoca tutti volevano l’Euro, non si trovava un antieuro nemmeno a pagarlo.
Vediamo perché. Forse che la classe politica di allora volesse ottenere tassi bassi per poter continuare a vender debito senza finire in bancarotta e continuare così a finanziare le proprie porcate? Sì è così! Infatti i 700 miliardi che ci siamo risparmiati di interesse grazie all’ingresso nell’Euro sono bellamente finiti nel maremagnum dello spreco senza portare beneficio alcuno ai cittadini. Forse che si potesse fare qualcosa di meglio con quei soldi? Sì, si poteva. Forse che ciò sia colpa della Merkel? No,non lo è!
Vediamo ora altri dati. Se si analizzano i dati economici italiani prima dello scoppio della crisi iniziata nel 2007/2008 (o è colpa dell’Euro anche quella?) essi certificano i benefici portati dalla moneta unica al nostro paese: tra il 1999 (anno in cui l’Euro, prima di diventare moneta corrente nel 2001, iniziò a essere utilizzato per le transazioni finanziarie) e il 2007, l’inflazione si stabilizzò a meno del 2%, il tasso di interesse sui titoli di Stato a lungo termine che nel 1993 era al 13% si trovò a essere al 3% nel 2006/2007; la diminuzione del tasso di interesse abbassò il debito pubblico che arrivò al 103% nel 2007, la disoccupazione scese dall’11% nel 1999 al 6% nel 2007.

Può bastare? Questi dati che fornisco che sono certificabili e controllabili, sono sufficienti a dimostrare che gli antieuro dicono corbellerie? Non lo fossero proviamo a immaginare cosa succederebbe il giorno in cui il nostro Presidente del Consiglio annunciasse che l’Italia ha in progetto di uscire dalla moneta unica. Gli aspetti tecnici di tale decisione sarebbero estremamente complicati; non sono infatti state previste procedure di uscita perché l’Euro non fu concepito come un meccanismo a porte girevoli. Pertanto bisognerebbe rinegoziare tutti i trattati internazionali relativi alla circolazione delle persone, merci e capitali. Con trattative di questo genere in corso davvero si può pensare che i risparmiatori stiano inerti nell’attesa che sui propri risparmi si abbatta la mannaia dell’inflazione e della svalutazione???? I soloni antieuro ci raccontano che basterebbe far scattare l’ora X del ritorno alla lira la notte di San Silvestro e congelare per un po’ i movimenti di capitali per evitare fughe e corse agli sportelli. Purtroppo è l’ennesima clamorosa bugia! All’ora X non ci sarebbe più nulla nelle banche, esse sarebbero già fallite. Perché le fughe e i prelievi di massa scatterebbero al momento dell’annuncio. Occorrerebbe tenere chiuse le banche per mesi per evitarne il fallimento. Vi sembra realistico? Che effetti avrebbe sull’economia una decisione di questa portata??? Se non bastasse voglio ancora far finta che costoro abbiano ragione. Ammetto che in qualche modo, che però mi sfugge, sia possibile evitare il fallimento delle banche, la corsa ai bancomat e la fuga all’estero dei capitali. Costoro dovrebbero spiegarci cosa succederebbe allo spread una volta che tornassimo alla lira. A quanto schizzerebbe? A quanto andrebbe il nostro debito pubblico? Quanti mesi ci vorrebbero per fare default? Che fine farebbero i risparmi di una vita dei nostri padri? Pensate sia davvero possibile rimpinguarli stampando carta straccia? A quanto schizzerebbe l’inflazione? I mutui sulle abitazioni contratti in Euro e ora da ripagare con la liretta stracciata farebbero finire centinaia di migliaia di persone in mezzo alla strada e le banche si troverebbero per le mani case che nessuno vuole e fallirebbero.
E la svalutazione? L’Italia è un paese manifatturiero e trasformatore sostanzialmente privo di materie prime e risorse energetiche che, in caso di uscita dall’Euro, sarebbe costretta a importare pagando con una valuta infinitamente più debole rispetto all’Euro dando luogo a un sostanziale impoverimento del paese che non sarebbe affatto, come costoro dicono, controbilanciato dall’aumento delle esportazioni. Basta dare un’occhiata ai recenti dati relativi alla bilancia commerciale del Giappone, paese che nell’ultimo periodo ha scelto di aumentare la massa monetaria in circolazione, per rendersene conto.
Davvero vogliamo una tragedia di questo genere perché non abbiamo il coraggio e il pudore di guardare in faccia alla realtà?


Purtroppo costoro non posseggono né coraggio, né pudore; le uniche abilità che hanno sono una faccia tosta incredibile e una bravura da guinness dei primati nell’uso della menzogna. Infatti hanno previsto anche il piano B. Che problema c’è? Dicono. Il debito pubblico? Basta non onorarlo! Facciamo come l’Argentina! Non paghiamo nessuno! Il default non è un problema. Basta ragionare un istante per capire che questa è l’ennesima sciocchezza. Da quel momento in poi diventerebbe impossibile rivolgersi ai mercati per finanziare la spesa pubblica. Chi compererebbe più il debito pubblico di uno Stato che non ha saputo onorarlo? E questo forse non sarebbe nemmeno il più grave dei problemi. Chi è in possesso del debito pubblico italiano? Gli stranieri? I tedeschi che ci stanno spremendo? Sì, ma solo per il 30%. Il restante 70% è così   ripartito: 10% Banca d’Italia e BCE, 42% banche, fondi comuni e assicurazioni italiane, 10% famiglie italiane, 8% altri gestori italiani. Ebbene sì signori, il 70% del debito pubblico nostrano è, a vario titolo, nelle nostre mani. Cosa succederebbe se lo Stato italiano decidesse di non onorarlo? Che andremmo tutti a gambe all’aria! Compresi i piccoli risparmiatori, gli operai e i pensionati. Risparmi investiti e bruciati in quattro e quattr’otto dal loro stesso Stato, quello in cui avevano riposto la loro fiducia e i loro risparmi. Per terminare il ragionamento, come potrebbe finanziare dunque la propria spesa pubblica uno Stato il cui debito non lo compera più nessuno? Ma è chiaro! Stampando moneta! Esattamente quello che ha fatto la presidentessa Kirchner in Argentina.
Peccato che gli antieuro dimentichino di ricordare che tali politiche hanno portato i redditi degli argentini e la ricchezza nazionale a crollare del 65% a causa di un’inflazione che pare oramai inarrestabile proiettando così il paese sudamericano verso la seconda bancarotta nel giro di poco più di 10 anni. I dati degli ultimi giorni sono purtroppo allarmanti e sembrano non lasciare speranza di ripresa al paese sudamericano. Vi sembra modello da cui prendere esempio come sostengono questi sciagurati? A me proprio no!


Veniamo ora alla quarta e ultima bugia che costoro ci propinano. Quella del fondo salva-Stati che ci starebbe prosciugando le casse pubbliche. Tesi recentemente sposate anche da alcuni pasdaran della destra nostrana in cerca dei voti dei forconi (vedi Alemanno la cui spocchia è stata dovutamente ridimensionata in diretta televisiva da Michele Boldrin). Gli antieuro e gli Alemanno di turno sostengono che avremmo devoluto, in una sorta di operazione a fondo perduto 40 miliardi di Euro, nel quadro dei programmi di abbattimento dello spread.
E’ una menzogna volgare e clamorosa. I soldi “devoluti” sono infatti 11 miliardi. Vediamo come fanno costoro a ottenere questa cifra mirabolante. Sommano contributi in conto capitale e spesa pubblica corrente come se fossero la stessa cosa. Per semplificare e evitare di entrare in tecnicismi, costoro trattano investimenti e spese alla stessa stregua. Sempre di esborsi si tratta, dicono. Ma non è vero! Chi ragiona in questo modo non potrebbe gestire nemmeno la contabilità di un qualsiasi negozio. E’ come sommare i soldi di stipendio pagati ai commessi coi soldi investiti in materiale che poi verrà venduto e creerà profitto (che nel caso del fondo salva-Stati sono gli interessi che riceviamo sui soldi che abbiamo investito). Per farla ancora più semplice è come dire che andare a Venezia e perdere 300 000 euro in una sera al casinò è la stessa cosa che investire i 300 000 euro in un appartamento da dare al proprio figlio o figlia. E’ un’idiozia clamorosa.
Non voglio tuttavia massacrarli troppo, un po’ di ragione ce l’hanno: 11 miliardi devoluti a “fondo perduto” ci sono. Vediamo ora se il fondo è poi così “perduto” come costoro dicono. Anzi voglio essere buono. Facciamo un’altra volta finta che abbiano ragione e che sia vero che i fondi devoluti dall’Italia al salva-Stati siano veramente 40 miliardi. Ve la ricordate la bolla dello spread nell’estate infuocata del 2011? Bene! Lo spread era arrivato a 650 punti base. La Bce intervenne mediante l’infido fondo salva-Sati facendo calare lo spread di 300 punti. I conti, che sono controllabili, dicono che 300 punti di spread abbattuti sono circa 120 miliardi risparmiati sugli interessi. Siamo sicuri che non ci sia convenuto mettere i 40 miliardi di Euro (che poi sono solo 11) nel fondo Salva-stati? Quanto avremmo dovuto pagare di interesse se la Bce mediante il salva-Stati non fosse intervenuta? Trovatemi un investimento che con 11 euro ve ne rende 120 e io ci metto tutto quello che ho guadagnato nella mia vita.
Oppure vogliamo davvero credere a chi ci racconta la favola che siano state le tasse di Mario Monti a rimetterci in carreggiata? La verità è che l’appartenenza alla zona Euro ci ha più volte salvati da guai peggiori rispetto a quelli, pur enormi, che stiamo vivendo. I guai che ci troviamo a vivere, differentemente da quello che ci raccontano questi profeti del nulla, derivano dalla nostra classe politica che invece di attuare le riforme necessarie ha continuato a spendere e tassare in maniera folle uccidendo lentamente ma inesorabilmente la nostra economia. La causa di tutto ha un solo nome: statalismo. È lo statalismo, di cui Barnard e compagnia sono uno dei tanti effetti collaterali, il problema dell’Italia. A uccidere l’Italia è l’idea, folle ma diffusa, che lo Stato possa creare ricchezza quando esso ne è invece solo un consumatore.
State bene e grazie di cuore per la pazienza.


Gabriele Galli, su gentile concessione de il Resto del Declino (ilrestodeldeclino.it)