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27 aprile 2014

Quelli che combattono sul fronte di ‘chi se lo merita’

Trilogia delle battaglie per i valori assoluti (Cap.II)


Ormai siamo talmente schiavi da non accorgerci che viviamo da tali. E’ abbastanza triste anche il fatto che facciamo di tutto per migliorare la nostra posizione di servitori, ma restando dei servitori, non sappiamo neanche più come si fa ad essere liberi nel paese che sembra una scarpa. Qui urge la necessità dell’esser breve e non spender troppe righe per questo concetto, perché dovrebbe essere una cosa chiara e le cose trasparenti non richiedono mai lunghe spiegazioni. Qui si tratta di togliere o strappare un velo.

Sembra che pochi si siano resi conto che nel duemilaquattordici facciamo politica ancora come in una monarchia dell’Ottocento. Così, per far finta d’essere persone civili, le mascheriamo da grandi conquiste dell’umanità. Da ora in poi smetterò con il  ‘noi’ e userò il ‘loro’, scusate ma non posso proprio far l’umilmente educato per etichetta, perché io e le persone di Fare per fermare il declino non c’entriamo nulla con questo. Con questo modo di agire da sovrani assoluti. Io mi sono indignato quando ho sentito parlare di quote rosa obbligatorie, non certo perché sono sessista è ovvio,ma perché, in primis, il concetto è ovviamente sbagliato visto che qualsiasi persona che riesca ad usare con un minimo di destrezza gli alambicchi della ragione, capisce che è di secondo(secondissimo, trascurabilmente secondissimo) piano il sesso dei nostri rappresentanti politici e questo è l’unico vero atto di umanità contro il sessismo. 

Di fatti il motto di una nuova legge elettorale che volesse estirpare il sessismo dovrebbe essere questo:

‘Al parlamento, se tutti uomini, o tutte donne, o metà e metà, o sessanta e quaranta non conta nulla, l’importante è che, sia gli uomini che le donne di cui è composto, siano persone competenti, fornite di uno spiccato senso civico e il più oneste possibile.’

Deinde  (ed è qui signori il punto più grave, di cui nessuno parla) questo è il modo di far politica che usavano i vecchi monarchi. Quando i moti e le tensioni sociali cominciavano a diventare incontrollabili, i re avevano solo due possibilità: 
1)Perire con il proprio regno
2) concedere ai propri sudditi diritti e privilegi per legge.

Tutte queste proposte che spacciano, o hanno spacciato, per atti di presunta civiltà, per me assomigliano più a concessioni regie.
Ma io sono un uomo libero e non sarò mai un suddito, quindi penso, esattamente come tutti voi, che uno dei pochissimi principi ragionevoli(e tra questi, forse, uno dei più sicuri) da seguire nell’affrontare questi argomenti, sia il merito. E non le concessioni sovrane per correggere un sistema dall’entrata deviata dalle raccomandazioni e altro. La conquista col merito. Conquista solo chi se lo merita.
Sono con e tra quelli che combattono sul fronte di ‘chi se lo merita.’



Francesco Guidorizzi

23 aprile 2014

Giustizia "donna" o giustizia e basta?




Piccola premessa; questo articolo dedicato alle donne vuole essere abbastanza controcorrente rispetto agli standard che si notano nei dibattiti attuali , e proprio per questa ragione correrà in difesa del genere femminile e delle tanto decantate pari opportunità.

Negli ultimi anni si è assistito ripetutamente a triti dibattiti parlamentari su due questioni cardine , ossia l'introduzione delle cosiddette "quote rosa" e la battaglia contro il femminicidio.

Chi vi scrive reputa un omicidio della medesima gravità , sia esso di un uomo o di una donna. La tematica risulta però particolarmente bollente e quindi è bene fare qualche osservazione in merito.

Il problema serio , come dimostrano i dati , non è tanto il femminicidio in se , che registra addirittura un calo rispetto agli scorsi anni, quanto il fenomeno più generale della violenza sulle donne. Si stima infatti che la spesa deputata all'assistenza, sia questa di tipo psicologico o sanitario , di donne che hanno subito violenza ammonti ad una cifra vicina ai 17 miliardi di euro , pari a tre manovre finanziarie. Un ulteriore dato allarmante riguarda la percentuale di denunce di violenza che ammonta solamente al 7% , seppure in crescita.

Il problema quindi non sta solamente nell'inasprire le pene per chi commette questi tipi di reato , quanto rendere l'iter giudiziario più snello e aumentarne l'efficacia garantendo la certezza della pena. Quante donne infatti saranno stimolate a denunciare e condannare coloro che le maltrattano , sapendo che andranno incontro ad una giustizia inefficace, lenta e foriera di incertezza?

Solo in questo modo si potrà fare un notevole passo in avanti riguardo il raggiungimento delle pari opportunità che , in questo ambito come in molti altri , sembrano ancora lontane anni luce.

Una possibile strada per affrontare tutto questo può garantirla un Unione Europea che tenda ad uniformare le durate dei processi per tutti gli stati membri , siano essi di tipo penale o civile . Sviando momentaneamente dall'argomento principale , a tutti è nota l'importanza di una giustizia civile efficace e rapida , specialmente in campo economico e più precisamente per quanto riguarda le concessioni di credito bancario.

Tornando al punto precedente ,garantire giustizia , specialmente verso le donne che subiscono violenza significa rispettarne la libertà e fare in modo che l'uguaglianza di genere non risulti più un tabù



Nicolò Guicciardi

Il caso Gebhard: il seme della nuova Europa

La prima volta che ebbi modo di parlare con Frederic fu lo scorso febbraio, in occasione di un aperitivo informale organizzato da alcuni membri lombardi del gruppo Giovani per Fare presso la storica Trattoria Toscana di Milano. A dire il vero, essendo uscito tardi dall'ufficio, riuscii a malapena a fare una breve apparizione all'appuntamento, limitandomi a presentarmi al gruppo per poi congedarmi immediatamente.
Frederic disse che sarebbe venuto con me e così, dopo aver salutato i presenti, si diresse con me e con Elvis verso l'esterno del locale. Elvis, razza labrador retriever, pelo nero, sguardo vigile, è il fedele ed inseparabile compagno di Frederic, che da 9 anni lo accompagna instancabilmente in tutte le sue avventure.

Ricordo che pioveva a dirotto sul pavè di Corso di Porta di Ticinese e che, in quel momento, stavo pensando che il metodo più conveniente per raggiungere Porta Garibaldi mettendomi al riparo dalla pioggia, fosse prendere un tram per Porta Genova per poi, da lì, fare il resto della tratta sfruttando la metropolitana.
"Verso dove vai?" gli chiesi.
"Verso il Duomo." rispose secco.
La direzione era quella opposta alla mia, ma pensai che avrei potuto deviare il percorso e camminare per qualche centinaia di  metri con lui, svoltando verso Sant'Ambrogio prima di imboccare via Torino.
"Andiamo dalla stessa parte." Conclusi.

Durante quella passeggiata, durata poco più di cinque minuti, procedendo lentamente affiancati dalle magnifiche Colonne di San Lorenzo, ricevetti una inestimabile lezione di vita. Dopo qualche imbarazzato scambio di battute sulle condizioni atmosferiche avverse, Frederic sfruttò una circostanza che ci accomuna, vale a dire il fatto di essere entrambi giuristi, per raccontarmi brevemente la sua storia. "Non so se conosci il caso Gebhard. Ecco, l'avvocato Gebhard è mio padre."
"Ma certo!" Nonostante, in effetti, il suo cognome non mi suonasse totalmente estraneo, fino ad allora non ero riuscito a mettere a fuoco il motivo di tale vaga familiarità: qualsiasi studente della facoltà di giurisprudenza che abbia affrontato in modo serio l'esame di "Diritto dell'Unione europea", ricorderà senz'altro che la normativa italiana di recepimento della direttiva 77/249/CEE in materia di libera circolazione dei servizi tra gli Stati membri, di cui alla l. 9.2.1982, n. 31, ha impegnato la Corte di Giustizia europea nella nota sentenza Gebhard: la controversia traeva origine dalla vicenda dell’avv. Gebhard, nazionalità tedesca, il quale, dopo aver lavorato per un certo periodo di tempo all’interno di uno studio legale di Milano, decideva di aprire un proprio studio presso il quale collaboravano anche professionisti italiani. Dopo qualche tempo, Gebhard veniva sottoposto ad un procedimento disciplinare avviato dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Milano per violazione dell’art. 2, 2° c., l. n. 31/1982 che stabiliva che l’avvocato straniero che intendeva prestare servizi in Italia non poteva stabilire nel territorio della Repubblica né uno studio né una sede principale o secondaria.
La Corte di Giustizie europea, pronunciandosi in ultima istanza sul caso, diede ragione all’avv. Gebhard, rilevando l’incompatibilità della disciplina summenzionata con quanto disposto dalla direttiva 77/249/CEE, in quanto il divieto di aprire un proprio studio configgeva con la possibilità per il cittadino comunitario di prestare liberamente i propri servizi all’interno dell’Unione europea.

Gli chiesi allora se anch'egli, come il sottoscritto, aveva terminato gli studi e stava accingendosi alla professione, percorrendo il faticoso cammino della pratica forense. Sospirò. "Purtroppo, il mio percorso di studi, che ora è ripreso e che sto portando avanti, compatibilmente con i miei innumerevoli impegni, ha subito una brusca interruzione poco dopo il mio ventesimo compleanno, quando persi la vista a causa del diabete. Inizialmente, questa disgrazia ha rappresentato un ostacolo ai miei progetti ma, ben presto, mi sono rimesso in carreggiata e sono ancora più carico di prima. Diversamente da te, tuttavia, non credo di voler intraprendere la professione, vorrei, invece, portare avanti la battaglia di mio padre per un'Europa più unita scendendo direttamente in campo, in politica."
Il tono estremamente pacato, e tuttavia assolutamente fermo, convinto, deciso, con il quale aveva appena espresso le sue volontà, lasciava trapelare una determinazione disarmante. Provai per un istante ad immedesimarmi in lui, a ripercorrere mentalmente le sofferenze e le avversità che aveva dovuto patire, cercando di immaginare il coraggio e la forza d'animo che gli erano state necessarie per uscirne vittorioso, ma si rivelò uno sforzo superiore alla mia capacità di immaginazione.
Dunque, lo salutai e me ne andai per la mia strada con una disposizione d'animo nuova, contagiato da tutta quella forza interiore, pieno di energia, sprezzante della pioggia fastidiosa e del vento nemico che soffiava contro il mio piccolo ombrello, quasi non fossi reduce da una interminabile giornata di lavoro.

In occasione del Congresso Nazionale di Fare - Per Fermare il Declino, tenutosi a Firenze il 9 marzo 2014, Frederic è stato eletto membro della Direzione Nazionale del partito, con un vasto consenso. Il Congresso è stata la sede in cui si è cristallizzata formalmente la decisione del nostro partito di partecipare alla competizione elettorale in vista delle europee del 25 maggio e ho pensato che sarebbe stato senz'altro di buon auspicio portare nell'organo direttivo un giovane, dotato di una forza di volontà così straordinaria, e che serbasse nell'animo il sogno di lottare per un'Europa più forte e più coesa.

È presto giunto, dunque, il momento in cui Fare - Per fermare il declino, schieratosi, assieme ad altri partiti di stampo liberaldemocratico, nella coalizione ALDE, guidata dal fiammingo Guy Verhofstadt, ha deciso di indire le primarie per proporre i suoi candidati nella lista Scelta Europea. Il metodo iperdemocratico attraverso il quale è stata regolamentata la partecipazione alle primarie permetteva a chiunque fosse dotato di buona volontà e di un buon curriculum di candidarsi. L'unica limitazione, di natura soggettiva, era costituita dalla precisazione che ciascun candidato avrebbe dovuto provvedere personalmente al finanziamento della campagna elettorale, essendo le casse del partito tutt'altro che in esubero.
Scendere in campo in prima persona, lottare per un'Europa più unita, fronteggiare il sentimento nazionale di sfiducia nei confronti dell'Unione e della moneta unica, opporsi al proliferare dei politici e dei nuovi sedicenti economisti che proclamavano l'uscita dall'euro come soluzione della nostra crisi... di fronte a questo scenario, memore delle parole che Frederic mi aveva rivolto durante il nostro primo incontro, ero consapevole del fatto che non avrebbe resistito standosene a guardare o limitandosi a coordinare le attività del partito dalla Direzione Nazionale.

Ed infatti, dopo qualche incertezza, legata essenzialmente alle difficoltà connesse alla necessità di autofinanziarsi la campagna elettorale, Frederic ha annunciato la sua partecipazione alle primarie europee di Fare - Per Fermare il Declino, in qualità di candidato per la circoscrizione Nord-Ovest.
Il 4 aprile 2014, dopo tre giorni di votazione, i risultati non hanno lasciato spazio alle interpretazioni: Frederic Gebhard era il candidato della circoscrizione Nord-Ovest con il maggior numero di voti (737), con un distacco netto rispetto ai restanti partecipanti (me compreso).

Frederic Gebhard, classe 1980, nato a Stoccarda, padre austro-tedesco, madre italiana, con il suo sangue mitteleuropeo incarna al meglio lo spirito di Scelta Europea: crede in un'Europa federale, meritocratica, orientata verso l'armonizzazione economica, oltre che monetaria, tesa verso l'integrazione culturale e politica, oltre che legislativa; Frederic Gebhard crede in uno spazio comune in cui tutti i membri possano davvero sviluppare un percorso di crescita che consenta ad una nuova Europa, libera e forte, di affacciarsi al mondo ed al mercato con una nuova dignità.
Utopia? Frederic, citando Mandela, risponderebbe: "Un vincitore è semplicemente un sognatore che non si è mai arreso."


David Mascarello


22 aprile 2014

In cammino per l'Europa, Bologna, sabato 10 maggio




Bologna, sabato 10 maggio 2014, ore 14:30, 
Starhotels Excelsior in Viale Pietramellara 5, a due passi dalla Stazione centrale

Incontro con Santo Versace, Presidente di FARE per Fermare il declino e i candidati per SCELTA EUROPEA:
Michele Boldrin, Cordinatore nazionale di FARE per Fermare il declino, Carla They, Elisa Petroni, Frederic Gebhard e Thomas Bastianel. Organizzato da GIOVANI PER FARE.
Il dibattito, organizzato in tre sessioni tematiche, si articolerà su alcune delle questioni di maggior attualità e rilevanza politica per la campagna elettorale, con la presentazione di importanti iniziative dei Giovani per Fare. L’evento sarà aperto a tutti: gratuito con offerta libera facoltativa per gli under 35, con contributo minimo di 10 Euro per gli adulti. 

PROGRAMMA IN CORSO DI DEFINIZIONE

14:30 Arrivo dei partecipanti

15:00 Saluti di benvenuta/o: Santo Versace, Guy Verhofstadt [video]

15:30 - 16:30 SESSIONE N.1: Sì-AMO l’EUROPA
FARE significa anche presentare iniziative concrete. In questi pochi mesi di attività, noi Giovani per Fare abbiamo supportato e ideato progetti che vogliamo intraprendere nei prossimi mesi: l'abolizione totale dell'IRAP, l'abbattimento di accise inutili e regressive, la lotta alle ecomafie e la tutela della divulgazione scientifica. In questo spazio vogliamo dibattere delle nostre idee, anche con l'aiuto di alcuni giovani amici che studiano e lavorano all'estero grazie al programma Erasmus, stimolando proposte e tematiche da parte di chiunque abbia un progetto da presentare e lo voglia condividere con noi.
Modera: Nicolò Guicciardi
Interventi di apertura: Daniele Spera, Ferdinando Giordano, Giovanni Caccavello [video], Verdiana de Luca
Spazio riservato a quanti tra i giovani vorranno intervenire (*)
Andres Bossio, Daniel Baissero, David Cioccolo, Nicola Cinquina [video]... in progress

16:30 - 17:30 SESSIONE N.2: LA BELLA D'EUROPA
Nonostante il declino del sistema Italia, causato da decenni di malgoverno, diversi settori riescono a competere ogni giorno con il mercato globale. L'Italia si pone nei primi tre posti al mondo per valore di esportazioni per 943 prodotti merceologici e tra i leader mondiali per indotto turistico, sia dentro che soprattutto fuori l'Unione Europea. Made In Italy, industrie creative e culturali, turismo e Green Economy sono le tante facce della qualità del nostro paese: come trasformarle nelle risorse principali per uscire dalla crisi?
Modera: Federico Figini
Interventi di apertura: Santo Versace, Franco Cappuccio, Paolo Briganti, Simona Benedettini
Spazio riservato a quanti tra i giovani vorranno intervenire (*)... in progress
Matteo Feltracco [video]

17:30 – 18:00 Pausa

18:00 – 19:00 SESSIONE N.3: L’EUROPA CHE CI SERVE
Le elezioni sono imminenti e Fare si presenta nella famiglia europea di Alde con l'intento di scardinare l'eccessiva burocratizzazione dell'Unione Europea. Vogliamo parlare di mobilità degli studenti e dei lavoratori nell'Unione e di sussidio di disoccupazione europeo, di diritti civili e di diritto d'autore a livello comunitario e italiano, di progetti europei per la ricerca, per le start-up e per abbattere le barriere linguistiche. Quali e quante sono le riforme da sottoporre all'UE che servirebbero con maggiore urgenza ai giovani?
Modera: Chiara Bastianelli
Interventi di apertura: David Mascarello, Gabriele Galli (video), Giandomenico Ciccone, Saul Giordani
Interventi dei candidati: Carla They, Elisa Petroni, Frederic Gebhard, Thomas Bastianel

19:00 Intervento di Michele Boldrin,
Coordinatore di FARE per fermare il declino e capolista di SCELTA EUROPEA nella circoscrizione Nord-Est.

Dopo la conclusione dell'evento la serata continua al Bar Ristorante Krisstal,  in Piazza Liber Paradisus 1.



IL COMITATO ORGANIZZATORE
Andrea Arsani, Chiara Bastianelli, Daniele Spera, Enrico Miglino, Federico Figini, Francesco Baiesi, Franco Cappuccio, Giandomenico Ciccone, Gianluca Tristo, Giuseppe Carteny, Marco Armani, Mario Melillo, Nicolò Guicciardi, Saul Giordani, Verdiana De Luca


(*) I giovani interessati ad intervenire possono prenotarsi scegliendo tra la prima e la seconda sessione, inviando la richiesta a giovaniperfare@fermareildeclino.it. Saranno accettati sino ad un max di sei interventi [2 minuti] per sessione.

Metodo scientifico all'Italiana

È stato presentato oggi alla Camera dei Deputati il risultato di una ricerca , promossa senza alcun contributo pubblico dall'Associazione Luca Coscioni, riguardante l'indice di libertà di ricerca scientifica in 42 paesi del mondo presi in considerazione.
Per fare chiarezza, questo indice prende in esame quattro ambiti fondamentali di ricerca, quali aborto,
fine vita , riproduzione assistita e cellule staminali embrionali.
L'Italia , che per l'ennesima volta si presenta come un'anomalia tra i paesi sviluppati, ha profondamente deluso le aspettative piazzandosi miseramente al 35esimo posto per libertà di ricerca scientifica, profondamente distanziata da Francia (17esima) e addirittura Grecia (sesto posto).
Come prima riflessione su questo deludente risultato, viene da considerare innanzitutto i quattro ambiti scientifici oggetto di analisi. Sia chiaro che chi vi scrive non vuole in alcun modo "anticlericalizzare" questo articolo, ma si può asserire con ogni probabilità che non è un caso che paesi scientificamente avanzati a profonda tradizione cattolica e in cui la chiesa cattolica ha una rilevante influenza come l'Italia (e anche l'Austria, ndr), esista una correlazione con la scarsa libertà di ricerca su tematiche come aborto, fecondazione assistita, cellule staminali embrionali e fine vita.
La seconda e ultima considerazione che è opportuno fare riguarda l'ulteriore correlazione tra libertà scientifica e funzionamento della fase decisionale propria dei regimi democratici. Dai dati, si ritiene pressoché fondamentale sviluppare, intensificare e mettere più spesso in pratica il metodo scientifico, poiché solo attraverso questo si riuscirà a prendere decisioni politiche ponderate e foriere di quel pragmatismo che in questi anni è mancato troppo spesso, abbattendo in questo modo barriere ideologiche oltre che di progresso nel nostro paese.

Nicolò Guicciardi

17 aprile 2014

L'atterraggio d' emergenza di un emiro qualunque


Nella giornata di oggi è , in maniera del tutto sorprendente , saltato l'accordo di partnership tra la compagnia aerea degli Emirati Arabi Uniti Ethiad Airlines ed Alitalia , che prevedeva sostanzialmente l'ingresso della prima nel capitale della compagnia di bandiera italiana con una quota del 40-45% pari a circa 500 milioni di euro. Continua quindi quella che sembra una vera e propria maledizione , presentatasi già una volta , quando Air France si presentò al tavolo delle trattative per il salvataggio della nostra disastrata compagnia aerea.
Le condizioni per cui il "matrimonio volante" tra Emirati e Bel paese è momentaneamente interrotto , riguarderebbero infatti garanzie non date su tre fattori di notevole rilevanza e ritenute necessarie da parte di Ethiad ossia collegamenti strategici tra alta velocità e hub di Fiumicino , tematica esuberi di personale (pensate infatti che si parla di un numero cospicuo ammontante a circa 3000 posti) e abbattimento dei debiti da parte delle banche.
Ragionando ora su quanto è appena accaduto , viene da porsi alcune domande . Innanzitutto , secondo chi vi sta scrivendo , privatizzazioni fatte con criterio , ossia selezionando i possibili acquirenti e/o soggetti privati interessati in base alla loro affidabilità e ad altri importanti fattori che non è il caso di elencare in toto , possono senza dubbio aiutare a rendere tali aziende più competitive sul mercato e al passo con l'innovazione che di questi tempi è richiesta.
Se però , come in questo caso , si assiste , oltre al totale fallimento della famosa "cordata" di imprenditori italiani nel periodo iniziale dell'ultimo governo Berlusconi , anche ad un disinteresse proveniente perfino da una compagnia aerea di un paese economicamente ben più prospero del nostro come gli EAU , ci si chiede se Alitalia (e non solo) è davvero cosi drammaticamente disastrata e poco appetibile da non riuscire nemmeno ad attirare interesse verso acquirenti ben più "facoltosi" di quelli italiani.
La domanda chiave quindi è : come si esce da questa grave empasse? Intanto la nostra compagnia di bandiera e il suo immenso buco nero è ancora a carico dei contribuenti.

Nicolò Guicciardi


Fuori i partiti dalle banche = più produttività e crescita

La mancata crescita dell'Italia è solo stata aggravata dalle ultime crisi (finanziaria globale del 2008, e del debito sovrano nel 2011), ma è in corso da oltre vent'anni. E' noto che essa è in realtà riconducibile ad una mancata crescita della produttività totale dei fattori.

Spesso, la causa viene individuata nella scorretta allocazione del fattore lavoro. Ma anche il capitale per investimenti non è stato allocato nel migliore dei modi, anche se di questo si parla meno.
Una delle radici di ciò, è certamente riscontrabile nell'assetto proprietario delle banche italiane.
Queste furono privatizzate nel 1990 dalla cosiddetta legge Amato, che trasformò le vecchie Casse di Risparmio in fondazioni bancarie, proprietarie inizialmente del 100% del capitale delle banche cosiddette conferitarie. Tale capitale avrebbe dovuto negli anni essere venduto ai privati, ottenendo così la privatizzazione del sistema bancario italiano, in linea con gli standard europei.

Tuttavia, le fondazioni detengono tutt'oggi quote di capitale nelle banche. Ad aggravare l'intreccio e' intervenuto Tremonti nel 2002, che stabilì che i vertici delle fondazioni dovessero essere di nomina politica e che le stesse dovessero dismettere le quote di proprietà nelle banche, concentrando la propria attività nella promozione del territorio. Mentre la prima indicazione della legge fu seguita alla lettera, così non è stato per la seconda.



La procedura di nomina funziona in breve così.
I politici eletti negli enti locali, nominano i dirigenti delle fondazioni bancarie. I dirigenti nominati nelle fondazioni bancarie, per lo più politici senza competenze in materia finanziaria, scelgono i dirigenti delle banche di cui le fondazioni detengono ancora quote di proprietà, nonostante la legge ne abbia imposto la dismissione. Le banche, erogano così credito preferibilmente a chi fa più comodo ai politici, che possono quindi comprare consenso, oppure trarne vantaggi finanziari personali.
Per chiudere il cerchio, le fondazioni, anziché investire le risorse nella promozione del territorio di riferimento e diversificare gli investimenti, come dovrebbero per legge, preferiscono concentrarle nel non perdere il potere che detengono nelle banche.
Cosa ha comportato e comporta, quindi, questo intreccio perverso?

Sono ricorrenti notizie del tipo: "sofferenze bancarie in aumento", oppure: "azienda fallita, anche se aveva lavoro, perché la banca non concede credito". 
Siamo da tempo entrati in un circolo vizioso per il quale i numerosi fallimenti aziendali hanno comportato “sofferenze bancarie”, ovvero situazioni in cui le banche non hanno più potuto ricevere indietro il credito precedentemente offerto. 


Le banche, in conseguente sofferenza di capitale da concedere a prestito, hanno chiuso i rubinetti, limitando i casi in cui concedono credito, ed applicando elevati tassi dinteresse per rientrare delle perdite trascorse e potenziali. Risultato: il poco credito alle imprese italiane, risulta più costoso nel confronto con i competitors europei.




Come si è arrivati a questa situazione? 
Un'interessante chiave di lettura e' riscontrabile in uno studiodegli economisti Ottaviano e Hasan, pubblicato su voxeu.org.
Dai dati, essi hanno evidenziato come in Italia, tra il 1995 e il 2006, si sia investito maggiormente in settori manifatturieri che hanno registrato bassa crescita di produttività, se non addirittura una diminuzione. In Germania, e' avvenuto invece l'opposto.


Linvestimento, ad esempio un nuovo macchinario con cui il lavoratore può produrre più efficientemente, dovrebbe essere appunto finalizzato alla crescita della produttività. 
Una impresa più produttiva può offrire salari più alti e crescere, offrendo nuovi posti di lavoro.
Ma abbiamo visto che in Italia non è andata proprio così.

Molto spesso, lazienda, per disporre del capitale necessario allinvestimento ricorre al credito. Ma come e' stato allocato il credito in Italia?
Dallo stesso studio, emerge che non c'è stata alcuna correlazione tra credito erogato e crescita di produttività: le imprese degli amici non si sono rivelate essere poi quelle più solide e innovative.
Inoltre, attraverso delle simulazioni, hanno dimostrato che, per quanto riguarda il solo settore manifatturiero, se le risorse fossero state allocate a caso anziché con discrezionalità partitocratica, si sarebbe addirittura registrata una maggiore crescita di produttività.
Ma non è finita; complici la crisi finanziaria del 2008 e la crisi del debito sovrano del 2011, si è innestata una spirale negativa: le imprese poco produttive, verso cui era stato preferito il credito, sono fallite più facilmente, non potendolo restituire alle banche. Le banche, in conseguente sofferenza, hanno "chiuso i rubinetti", negando ulteriormente credito a chi lo meriterebbe. Le fondazioni politicizzate, nel mentre, si sono sistematicamente opposte ad aumenti di capitale nelle banche, per non diluire le proprie quote di potere, aggravando ulteriormente la stretta creditizia.

Questi sono solo alcuni dei danni che ha comportato la discrezionalità nell'allocazione del credito, che si concretizza attraverso il ruolo di influenza che i partiti riescono ad avere nelle banche mediante le fondazioni.
Chiamiamola, se vogliamo, partitocrazia 2.0.


Per concludere, qualcuno potrebbe chiedersi cosa comporta la mancata crescita di produttività che ho spesso menzionato. Ricorro ad un'affermazione di Paul Krugman, noto economista premio nobel, del quale non condivido molto le idee, ma che ha saputo condensare molto bene il concetto:

"La produttività non è tutto, ma nel lungo periodo e' quasi tutto. L'abilità di un paese nel migliorare i propri standard di vita nel tempo dipende quasi esclusivamente dalla sua abilità di accrescere il proprio prodotto per lavoratore".

La crescita, così difficile da riagguantare in maniera duratura da vent'anni a questa parte, è nell'interesse del benessere di tutti noi italiani, nessuno escluso, a partire dai più deboli.
Un pil in crescita garantisce, oltretutto, la sostenibilità dell'enorme debito pubblico, del bilancio, e di spese elefantiache che ci troviamo a dover sopportare, come ad esempio quelle per il sistema pensionistico più costoso d'Europa (che andrebbero tagliate anche per una semplice questione di equità inter-generazionale, ma questa e' un'altra storia).
Anche per questo, ora più che mai bisogna dire con convinzione: fuori i partiti dalle banche e credito a chi lo merita.


Nicolò Gnocato


N.B. Nicolò Gnocato, iscritto a Radicali Italiani dal 2013, ha contribuito a redigere ed è tra i primi firmatari dell'appello per chiedere al parlamento di legiferare imponendo la dismissione delle quote di proprietà delle fondazioni nelle banche.
Maggiori informazioni possono essere trovate al link: radicali.it/banche, dove è anche possibile sottoscrivere l'appello al parlamento e contribuire alla campagna.

14 aprile 2014

Libertà a colpi di fioretto

Trilogia delle battaglie per i valori assoluti (cap. I)

Sono tempi duri i nostri. Sono tempi duri anche per noi che agiamo invece di perderci in chiacchiere. Mi concedo una pausa da tutto questo. Ora e ogni tanto sento il bisogno di perdere tempo e di perdermi in chiacchiere.
E’ che il mio paese mi pare non colga l’importanza dell’esempio, del resto è stato abituato così. In Italia le campagne politiche si fanno coi ‘Paroloni’, il riscontro di questi nella realtà sembra valga molto poco.  Del resto nella nazione dei grandi poeti conta più il fascino, l’illusorio e il fantastico. Il pragmatico, da sempre, fa meno pubblico. Se esistesse il ‘Manuale del politicante medio all’italiana’ sarebbe probabilmente il libro comico più venduto del continente. Una delle prime regole sarebbe questa: se si trova in difficoltà nel corso di un intervista, risponda partendo da un valore assoluto. Poi il resto andrà bene a tutti.

Esempio.
Domanda:‘Lei cosa ne pensa delle strade dissestate in Emilia Romagna?’                                
Risposta: ‘Ma guardi io credo nell’uguaglianza, ecc…’
Cosa volete che vi dica? Quando non si hanno risposte precise e concrete da dare, scomodare principi di civiltà, ‘verità assolute’, diritti umani e cose del genere è sicuramente molto comodo. E così nella quotidianità italiana, idee deformate e strumentalizzate come l’uguaglianza sono sempre presenti, sono lì, camminano con noi per ingrandire il nostro senso etico. Sono portate nelle case dalle televisioni che trasmettono i migliori dibattiti politici immaginabili, dove un partito ha aumentato le tasse per la libertà e l’altro non si è ridotto lo stipendio per onestà. E il  bello è che questo è solo l’inizio del tetro teatrino.

A questo punto la domanda, anzi le domande sorgono spontanee: ‘Ma noi di tutta questa moralità abbiamo bisogno?’, ‘Tutta quest’etica non ci darà dipendenza?’
Ci sono certi individui, in Italia, così pieni di diritti umani, che a sentirli parlare la potevano fare loro la rivoluzione francese e magari veniva anche meglio. A sentirli parlare. A sentirli parlare. Supponiamo, anche se non ne sono molto convinto, che quest’armatura di morale ci serva, giusto perché siamo europei e gli europei sono da sempre un popolo pesante, così pensieroso. Supponiamo ci voglia. A questo punto, dopo questa strampalata e inconcludente premessa, devo rivelarvi la cosa che mi da più fastidio. La cosa che mi da più fastidio è sentire  le persone sostenere che Fare per fermare il declino  non ha nessun senso etico. Non ha nessun senso etico spicciolo e ostentato per prendere voti, al massimo.


I rappresentanti di questo partito, infatti, per prima cosa usano l’informazione per spiegare e istruire sulle questioni economiche, giuridiche e politiche. Lo fanno anche in modo accademico, usando accurati e indispensabili strumenti, come la chiarezza e la trasparenza. Con tale metodo puntano alla disillusione politica degli ascoltatori, combattono i castelli per aria.  Questo crea consapevolezza, che da origine a  coscienza, che a sua volta partorisce individui con senso critico e capacità di giudizio, e tale è la base di un uomo libero, non può essere altra. In aggiunta, le loro posizione economiche riguardo all’euro, all’Europa e alla politica nazionale hanno come diretta conseguenza l’assunzione delle proprie colpe e delle proprie responsabilità da parte del popolo italiano. E’ facile perpetrare il passo falso ideologico dello scarica barile, che alcuni usano anche per togliersi dagli impicci e distrarre l’opinione pubblica. Da un giorno all’altro, politiche marce, corruzione, criminalità e altro non sono stati più i problemi principali. 

Molti partiti fanno cadere la colpa dell’attuale situazione sull’Euro e sull’Europa, ma questo atteggiamento spinge gli italiani a non assumersi le proprie responsabilità dando la colpa a fattori esteri. Secondo questa teoria altri hanno deciso per loro e sono solo vittime di un enorme complotto straniero. Facendo questo si crea una nazione senza responsabilità, quindi senza la forza interiore di sopportare il peso delle proprie scelte e quindi senza la possibilità di scegliere. E’ una schiavitù interiore che, inevitabilmente, si ripercuote e si ripercuoterà sull’esteriore. Fare per fermare il declino invece dimostra di voler creare uomini liberi, liberi di scegliere e in grado di sopportare, supportare e correggere, se è necessario, le proprie scelte. Tutto questo senza sbandierare parole risonanti. Lo fa col proprio comportamento. Libertà a colpi di fioretto.



Francesco Guidorizzi

9 aprile 2014

Def , speriamo bene !

 
Dopodomani approderà al vaglio del parlamento il cosiddetto Documento Economico Finanziario presentato ieri dal governo Renzi a palazzo Chigi.
Molti sono i punti che fanno ben sperare in una svolta che , sicuramente non è definibile come radicale , ma senza dubbio potrà avere un discreto impatto.
La mazzata che arriverà alle banche , attraverso il raddoppio della pressione fiscale sulle plusvalenze derivanti dalla rivalutazione delle quote di Bankitalia che schizzerà al 26% , è senza dubbio la manovra che godrà di maggiore popolarità tra l'opinione pubblica. Questa servirà essenzialmente a finanziare il taglio di 6,7 miliardi sull'Irpef del 2014.
Riguardo ciò , è bene precisare ai lettori meno attenti e più smemorati , che tale taglio dell'Irpef nasce dalla discussissima rivalutazione delle quote che tanto fece scalpore e generò una bagarre pesantissima alla Camera dei deputati . I grillini quindi affermerebbero che il taglio dell'Irpef è coperto, in soldoni , " dai soldi nostri" usati per rivalutare Bankitalia e non da quelli delle sempre privilegiate banche.
Vi sono però anche aspetti maggiormente positivi , quali una spending review firmata Carlo Cottarelli , che una volta giunta a regime nel 2018 potrà permettere un discreto risparmio di 38 miliardi di euro , senza per altro effettuare tagli "lineari" alla Tre-Monti ed in secondo luogo , altro punto saliente sarebbe quello che porterebbe alla dismissione di quote di aziende pubbliche quali Poste ed Enav e di innumerevoli società partecipate , nonchè i tagli agli stipendi dei manager pubblici , bandiera politica di Fare per Fermare il Declino , il cui tetto è fissato su quello del Presidente della Repubblica.
Nel complesso insomma , si intravedono intenti dallo spirito liberal democratico da parte del presidente del consiglio Matteo Renzi e del suo governo che incontrano fondamentalmente due ostacoli non poco rilevanti. Il primo riguarda essenzialmente la fumosità e incertezza nel riuscire a mandare in porto le seguenti manovre senza ostacoli , anche da parte di minoranze dello stesso Partito Democratico ed il secondo , fatto salvo che l'ex sindaco gigliato riesca nei suoi intenti , riguarda poi l'effettiva distribuzione efficiente di tutte le risorse economiche recuperate da spending review e affini.
Strada che si rivela quindi lunga e tortuosa , ma che se verrà percorsa nella sua totalità potrebbe consacrare definitivamente Matteo Renzi come lo statista del decennio.

Nicolò Guicciardi

7 aprile 2014

ABOLIZIONE TOTALE IRAP!

Ebbene si, avete letto bene: abolizione totale dell'IRAP.
L'IRAP - imposta regionale sulle attività produttive - è una tassa totalmente ingiusta che nacque nel 1997 tramite decreto legislativo per volere dell'allora governo Prodi. Dopo una serie di mini modifiche, nel 2008, l'IRAP divenne un'imposta regionale ed assunse tutte le caratteristiche odierne. Nella sua forma più comune l'IRAP è una tassa che grava sugli imprenditori poiché colpisce il valore della produzione netta delle imprese. E' inoltre, l'unica tassa italiana che colpisce il fatturato e non l'utile.
Per finire, il 90% del gettito dell'IRAP viene destinato a livello regionale con lo scopo di finanziare il fondo sanitario nazionale, come quota parte della spesa pubblica. Secondo il ministero dell'economia e delle finanza, circa il 30% della spesa sanitaria italiana viene sostenuto attraverso l'IRAP.

Secondo la CGIA di Mestre, lo Stato nel 2012 ha guadagnato oltre 33 miliardi di Euro dall'IRAP. Un  articolo del Sole 24 Ore dell'11 Marzo 2014 fa notare che nel 2013 oltre 2/3 del gettito totale dell'IRAP, cioè 24,8 miliardi di Euro, sono stati sborsati dal solo settore privato. Gli imprenditori italiani rinunciano così a circa 25 miliardi di Euro all'anno. Anziché investire in tecnologie, macchinari, marketing, capitale umano e via dicendo, il settore privato si trova costretto ad "affamare la bestia", quel gran leviatano che è lo Stato, senza ricevere nulla in cambio. Zero investimenti, zero assunzioni, zero salari più alti, minor produttività, minor crescita. L'unico ente che ci guadagna è lo Stato!

La prima cosa che farebbe il nostro governo sarebbe quella di abolire completamente l'IRAP.
Molti di voi non vorranno toccare il settore sanitario e diranno che no, "non si può fare perché ne andrebbe del Welfare pubblico" (molto inefficiente direi). Altri di voi mi diranno "eh ma sono 33 miliardi. Non si riescono a trovare 10 miliardi per dare 80 Euro in più in busta paga ai lavoratori dipendenti, non si trovavano i 4 miliardi per abolire l'IMU (che non è stata veramente abolita, ma questo è un altro argomento), figurati se si possono trovare 33 miliardi". Mettere un po' a dieta la sanità pubblica non sarebbe male, dato che spende troppo male (vedi costi standard non applicati, per esempio). Ovviamente la sanità pubblica merita il più alto grado di rispetto, ma anche in quel settore urgerebbero riforme che da troppi anni vengono rimandate a discapito del funzionamento generale del sistema sanitario. Qui bisognerebbe aprire un'ampia discussione che riserveremo magari ad un altro articolo.

Cosa si potrebbe fare di concreto. Secondo le parole dell'ex viceministro all'economia MarioBaldassarri, intervistato da La Stampa, solo 3 dei 33 miliardi dei sussidi alle imprese vengono effettivamente distribuiti al settore privato. Gli altri 30 miliardi, guarda caso, venivano mangiati ancora un volta dal settore pubblico, un mostro sacro a mille teste al quale dovrebbero venirne tagliate almeno la metà.
Nel 2009, addirittura secondo i dati in possesso da La Stampa i sussidi destinati alle imprese raggiungevano i 40 miliardi. Quanti soldi che la Ragioneria di Stato concede ai privati!

Dei 33 miliardi che servirebbero per coprire il buco derivante dall'IRAP, in un modo molto semplice, ne avremmo già trovarci almeno 25 miliardi (facciamo i bravi e supponiamo che nel 2012 e nel 2013 i sussidi siano diminuiti di altri 8 miliardi come avvenuto tra il 2009 ed il 2011).
Mancherebbero dunque circa 8 miliardi, ma questi, per esempio, sono già sotto la lente di ingrandimento del Commissario Cottarelli e del governo Renzi. Qualche miliardo lo si troverebbe anche li e tanti altri miliardi si potrebbero trovare andando a tagliare gli stipendi della pubblica amministrazione, dei parlamenti e dei manager pubblici rendendo i salari pari a quelli degli altri paesi Europei più avanzanti (Regno Unito, Germania, Francia). Ricordiamo in questo senso la campagna di Fare "Non più alto del Colle", promossa molto prima delle finte promesse del Governo Renzi!

Ecco che le risorse per eliminare l'IRAP in modo molto semplice sembrerebbero essere state trovate! Forse il discorso è stato ridotto all'osso per motivi di spazio, quindi ci scusiamo, ma vogliamo riaprire il discorso e portarlo a termine vincendo la nostra battaglia e garantendo nuove libertà al settore privato. Il nostro governo agirebbe così. Meno tasse, meno spesa, più ricchezza.
Stop Starving the Beast! 
E ricordatevi questo: "non esistono soldi pubblici. esistono solo i soldi dei cittadini".

Giovanni Caccavello

Question time con Santo Versace


Questa volta il Question time cambia formato, e il forum Giovani per Fare raggiunge direttamente l'ospite per poterlo intervistare di persona.
Santo Versace, già fondatore della prestigiosa azienda di moda Gianni Versace S.p.a.. Ma il suo impegno nel campo dell'eccellenza non finisce qui, infatti nel 1992 fonda Altagamma, impegnata a raggruppare tutte le aziende italiane che si distinguono nel campo dell'innovazione, design, qualità e servizio. Già parlamentare eletto nel 2008, ora ricopre il ruolo di presidente dell'Assemblea Nazionale di Fare per Fermare il declino.

Ai nostri microfoni ha parlato di moda, imprenditoria, cultura e politica.





 
Buona visione!

 
In alternativa il collegamento diretto al video è il seguente:

6 aprile 2014

In cammino per le Europee


Il sasso nello Stivale

Se si volesse pensare all’Italia ci si dovrebbe occupare soprattutto delle persone che la popolano. Non sto dicendo nulla di economico, non sto dicendo nulla di politico.                                                           
E nel guardare al microscopio la vita e il pensiero di questi fiabeschi abitanti del paese dei balocchi, bisogna, ogni tanto, ma non raramente, distogliere lo sguardo per vedere dall’alto il dove e il con chi vivono, con che colori si vestono, con che coloritismi si parlano.                                    

E non sto dicendo nulla di nuovo. Ma neanche nulla di scontato. Del resto tutti noi, a modo nostro, ci abbiamo provato. Da bambino i vecchi seduti al bar , o al parco, mi parlavano per soffocare la noia. Parlavano con tutti, anche con me. Il proprietario di uno dei tanti bar nel mio piccolo paese era amico dei miei genitori e mi regalava le caramelle. Era un bar di vecchi. Si parlava del più e del meno e quando saltava fuori la politica tutti la pensavano così: ‘E’ l’arte di fare i propri interessi’. E quando si vota cosa si deve fare? Pensare ai propri interessi.             

Triste, non che non ci sia un fondo di verità, ma triste. Desolante pensare che la furbizia per noi sia un valore, non che non sia utile averla. Da qui passiamo solo per un istante a noi, gente di giusto cuore, che combattiamo una battaglia titanica e non ce ne accorgiamo. Ci definiamo onesti nella terra dei furbi. A noi le volpi piacciono poco, ma cosa possiamo fare?
Da più grande ho visto persone che votavano come votavano i loro genitori, perché la famiglia è la famiglia e tutti pensano che la loro famiglia sia buona e ognuno dentro la sua famiglia si sente al sicuro. Non ci si interroga, perché la famiglia non può agire per il male. La famiglia è bene. La famiglia è dogma italiano.                                            

Ho poi sentito di persone troppo vecchie per cambiare, che votavano in base all’anzianità del candidato, se è troppo giovane non può cambiare lo stato. E se ti provi a spiegare, loro non vogliono capire. Sono anziani, le loro battaglie le hanno già combattute. La vecchiaia è bella, la vecchiaia è giusta, quando si va in pensione si può prendere il passaporto per smettere di imparare, perché nella vecchiaia c’è già sufficiente esperienza. La vecchiaia è dogma italiano.     
Mi è capitato anche di osservare persone che prendono in giro le altre persone loro simili, anche amiche, per farsi due risate e risultare simpatico a quelli con cui parlano e mi sono chiesto, ma da dove lo hanno imparato? Avevo dimenticato che in Italia se vuoi vivere bene devi capire e far tue due cose: la prudenza è la prima, calpestare gli altri è la seconda. E tanto è vero che le campagne elettorali si fanno così, prendendo per il culo gli avversari la maggior parte delle volte gratuitamente, alcune volte perché se lo meritano. Non importa chi sei tu, basta riuscire a dipingere l’altro come un perdente e tu potresti essere anche il più cane della terra,  risulterai comunque il migliore tra i due. La viltà è un dogma italiano.                                  

Vivere di dogmi e mezze verità è un vizio italiano. In sostanza, quale è il punto di sto pezzo di carta, scritto di pugno e di stomaco. Di fegato e di budella. Di cervello e cervella. Il punto è che il più grande problema dell’Italia non è quello economico, non è quello politico, non è quello sociale. Il più grande problema dell’Italia  è quello culturale. E’ dentro di loro, nella loro mente. Bisogna spiegare agli Italiani, insistere con loro, riscaldarli, ribatterli e temprarli, rimodellarli, con le idee giuste in tutti i campi. 

Fare per fermare il declino, in questo senso è, a mio modesto parere, l’unico partito politico, nel panorama italiano, che si interessa del suo popolo. I suoi componenti, si informano, spiegano, intellettualmente seducono. Fare per fermare il declino è quello che l’Italia aveva trovato molto tempo fa, al tempo del rinascimento, e che poi aveva perso. Adesso è tornato.



Francesco Guidorizzi