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26 marzo 2014

Siete dei provinciali...ma forse avete ragione!

 


Proprio in questi giorni si sta discutendo nell'aula parlamentare di Montecitorio un altro dei provvedimenti che caratterizzano la rapidità decisionale dell'attuale governo, e in particolar modo di chi lo presiede , che tanto ci era mancata in questi anni.
Stiamo appunto parlando del disegno di legge presentato dal sottosegretario alla presidenza del consiglio Graziano Delrio , riguardante l'abolizione delle province.
I lettori dotati di buona memoria senz'altro ricorderanno il polverone che era scoppiato alcuni mesi fa quando si parlò dapprima di accorpamento e poi di cancellazione delle province. Addirittura si ebbe il bizzarro caso del presidente della provincia di Treviso che gridò ad un vero e proprio golpe.
Facendo quindi qualche riflessione su ciò che sta accadendo in questi giorni , forse non pare il caso di estremizzare la cancellazione delle province ad un golpe , ma pensandoci bene il provvedimento di Delrio dovrebbe essere indirizzato ad enti come le regioni.
Sia chiaro , è assolutamente necessario un decremento del numero delle province (non se la prendano coloro che provengono dal Medio Campidano od Ogliastra , giusto per citarne alcune) , ma è pur vero che se si vuole far valere sul serio il principio di sussidiarietà , per il quale i cittadini devono rivolgersi all'ente locale più "vicino" a loro, viene da pensare che il mantenimento delle regioni non sia l'ideale essendo queste in pratica delle grandi ASL (80% del bilancio riguarda la sanità, ndr) e sorgenti di debito pubblico lontane dalle esigenze dei cittadini.
Prendendo ad esempio la regione di chi vi sta scrivendo, ossia l'Emilia Romagna , è legittimo pensare che forse l'alluvione recente sarebbe potuta avvenire con minor probabilità se l'AIPO (agenzia interregionale fiume Po) fosse un ente provinciale. Non è forse più agevole monitorare i corsi d'acqua della provincia di Modena piuttosto che quelli dell'intero bacino idrografico regionale?

Nicolò Guicciardi

21 marzo 2014

Question time con Alberto Bisin




Altra puntata del Question time organizzato dal forum Giovani per Fare. L'ospite di questa settimana è Alberto Bisin, professore di economia presso la New York University ed editorialista per la Repubblica. La sua passione per la divulgazione economica lo ha portato ad essere tra i fondatori del blog NoisefromAmerika e a scrivere diversi libri tra cui l'ultimo, Favole e Numeri.


Qui di seguito gli argomenti trattati:

a) EUROPA
- Idee per la crescita europea
- Federalismo europeo
- Mercato del lavoro
- Politica monetaria
- Bagnai e Maastricht
- Teniche di comunicazione: i pensatori liberali dovrebbero imparare da Bagnai?

b) FAVOLE E NUMERI
- Si può parlare di scienza Economica?
- Commento su Krugman
- Crisi finanziaria del 2008, cause e implicazioni future
- Sfatiamo alcune favole (liberismo, globalizzazione, finanza, decrescita felice, titoli tossici e banche italiane)

c) ITALIA
- Opinioni su referendum Veneto
- Obama e Salva-Roma: analogia?
- Disuguaglianza sociale in Italia


Buona visione!


In alternativa il collegamento diretto al video è il seguente:

17 marzo 2014

Annessione contagiosa

Proprio ieri si è svolta nella penisola di Crimea in Ucraina , una consultazione referendaria per verificare se la popolazione della suddetta area geografica fosse favorevole o meno all'annessione della stessa alla Federazione Russa.

Come ben sappiamo , il referendum ha avuto un esito a maggioranza bulgara (96,6%) a favore dell'annessione della Crimea alla Russia. Indipendentemente dal fatto che tale esito fosse abbastanza scontato vista la maggior parte di popolazione russofona in tale area geografica , è bene fare qualche considerazione sugli strascichi lasciati da tutto ciò.

Per prima cosa , le lamentele e le preoccupazioni provenienti dall'Unione Europea e dal presidente degli Stati Uniti d'America Barack Obama rivolte all'illegittimità del referendum tenutosi ieri , sono da considerarsi più che fondate, non tanto per la motivazione appena menzionata, quanto per una possibile reazione a catena che potrebbe innescarsi dopo l'annessione della penisola di Crimea alla Federazione russa.

Tale sospetto infatti risulta legittimo se pensiamo che la Crimea sarà da "infrastrutturare" completamente da parte del governo russo, poiché finora la penisola ha dipeso totalmente dall'Ucraina di cui ora non fa più parte, e tutto ciò comporterebbe il sobbarcarsi di pesanti oneri da parte della Russia. Viene quindi da ipotizzare che sarebbe molto meno costoso per Putin invadere gradualmente l'intera Ucraina nonostante le palesi violazioni di sovranità.

La seconda questione riguarda invece la relativa fragilità sofferta dall'Unione Europea nell'affrontare tale delicatissima questione. L'ipotetica "europeizzazione" del granaio d'Europa era infatti frutto di un accordo tra singoli stati, tra cui Germania e Polonia, e non dell'intera unione. I rischi di una nuova guerra fredda , il cui fulcro stavolta risulterebbe spostato verso est , sono senza dubbio da non sottovalutare, e se possibile , da evitare con una diplomazia degna di tal nome.

Alla vigilia delle prossime elezioni per il rinnovo del parlamento europeo , è bene quindi lanciare un appello per fare in modo di ripensare l'Europa anche su questo fronte, cercando di mettere in piedi meccanismi di coesione diplomatica in grado di evitare spiacevoli "fantasmi" che potrebbero riemergere dopo queste ultime onde d'urto che rischiano di minare negativamente lo scenario europeo e mondiale.

Nicolò Guicciardi

16 marzo 2014

Jobs Act: la flessibilità che manca

Di recente, il Presidente Renzi ha presentato una serie di riforme – ancora allo stato di bozza – che avrebbero l’obbiettivo di riassorbire la disoccupazione in Italia e dare un forte contributo alla crescita: il cosiddetto Jobs Act. Questo provvedimento, estremamente (volutamente?) vago ed eclettico, va a toccare una lunga serie di argomenti: si va dalla questione del prezzo dell’energia, alla revisione della spesa fino ad una serie di estremamente (volutamente?) generici piani industriali. La “ciliegina sulla torta” è costituita dalla definizione di una nuova tipologia contrattuale che dovrebbe andare a sostituire la maggior parte dei contratti utilizzati attualmente nel nostro mercato del lavoro. 

Sarà vera gloria? Difficile dirlo, fino a che non usciranno informazione più dettagliate a proposito dei singoli provvedimenti. Difficilmente, però, a detta di chi scrive, potrà portare i risultati che si propone, data la natura e la gravità della crisi in cui ci troviamo. Il mercato del lavoro italiano è altamente schizofrenico, e sicuramente potrebbe beneficiare di una razionalizzazione delle tipologie contrattuali. Il costo dell’energia è sicuramente un limite alla competitività delle nostre imprese. Ma la disoccupazione non verrà riassorbita fino a che persisterà il forte squilibrio fra il costo del lavoro e la produttività, vero limite alla competitività di questo paese. Il grafico sotto illustra il problema.



Fonte: The 2012 Labour Market Reform In Spain, OECD

Come è possibile vedere, dall’entrata nell’euro il “Sistema Italia” ha progressivamente e costantemente perso in competitività: in paragone ai nostri “competitors”, il costo del lavoro ha continuato a salire, mentre la produttività è rimasta praticamente ferma. Ma la cosa che più fa riflettere è che, mentre negli altri paesi questo squilibrio è andato riducendosi a seguito della crisi (impressionanti sono i guadagni di competitività di Irlanda e Spagna), in Italia ha seguito la traiettoria opposta. Purtroppo, il tanto decantato Jobs Act non propone risposte credibili a questo problema, che può essere rivisto solo attraverso una profonda revisione delle relazioni sindacali.

In Italia si è sempre risposto alla necessaria maggior flessibilità richiesta da un mondo sempre più dinamico, integrato e competitivo aumentando la “precarietà”, ovvero rendendo più facili i licenziamenti – ovviamente, limitandosi ad una parte ben definita del mercato del lavoro, non vuoi mai fare un dispetto alla CGIL. Tutti voi ricorderete bene come, nei due decenni appena passati, non si sia fatto altro di parlare dell’abolizione del totem dell’Articolo 18. Ma se andiamo a vedere i dati, il mercato del lavoro italiano non risulta essere particolarmente “ingessato”, almeno in confronto alle altre economie europee. Di seguito, riporto alcuni dati presi dagli “Indicators of Employment Protection” (proprietà OECD). Sorprendentemente, l’Italia non sfigura, e anzi, secondo certi parametri, in Italia risulta più semplice licenziare che in Germania o, addirittura, in Olanda.

Dove però l’Italia è rimasta estremamente rigida, è nella contrattazione di secondo livello. Nonostante gli ultimi accordi stipulati fra le parti sociali (nel 2009 fra Confindustria, CISL e UIL e nel 2011 fra tutte le parti sociali, CGIL inclusa), la contrattazione aziendale rimane marginale, potendo svolgersi esclusivamente in settori delegati dal contratto nazionale. Questo “appiattimento” delle retribuzione sullo stesso piano lungo aree estremamente eterogenee per quello che riguarda produttività delle imprese e costo della vita, e soprattutto la loro rigidità rispetto al ciclo economico, porta notevoli problemi: scarsi incentivi all’innovazione, alla formazione dei dipendenti e, in genere, all’aumento della produttività totale dei fattori. In più, porta uno scollamento del salario dalla produttività, disincentivando le assunzioni: in caso di shock negativi, le imprese reagiscono chiedendo cassa integrazione o licenziando.

Recenti articoli accademici hanno analizzato l’effetto, in termini di riallineamento costo del lavoro-produttività, che riforme atte a incentivare e potenziare la contrattazione di secondo livello hanno avuto in Germania (Dustmann et al. 2014), e Spagna (OECD 2013). I risultati sono molto positivi: per quanto riguardo la Spagna, l’OECD calcola che almeno il 50% della riduzione del costo del lavoro spagnolo sia da imputare alla riforma della contrattazione aziendale. Per quanto riguarda la Germania, le tanto decantate riforme Hartz avrebbero avuto un effetto marginale per quanto riguarda il forte incremento di competitività tedesco nella seconda metà degli anni 2000, che sarebbe da attribuire, invece, al potenziamento della contrattazione di secondo livello. Spostare il fulcro della contrattazione da livello nazionale a quello aziendale, permise un forte ancoramento del costo del lavoro alla produttività dei lavoratori.

Uno dei temi ricorrenti di questa campagna elettorale permanente che è l’attuale legislature è stato, per l’appunto, il problema del costo del lavoro e della scarsa produttività del ”Sistema Italia”. Difficilmente la soluzione potrà arrivare con interventi tampone come la riduzione di una manciata di miliardi del cuneo fiscale, fatta, oltretutto, a debito. Renzi ha garantito più volte che il suo è un “governo di cambiamento”, atto a “rottamare” i vecchi legami e le vecchie logiche del suo partito. Potrebbe iniziare, per l’appunto, dalla lobby di riferimento del PD, la CGIL. E proporre una radicale riforma della contrattazione collettiva, cosa di cui questo paese ha dannatamente bisogno.


Giandomenico Ciccone

15 marzo 2014

L'ALDE può vincere solamente grazie all'Italia

Titolo alquanto coraggioso. Preciso subito: l'ALDE può vincere grazie all'Italia nel senso che può restare la terza forza europarlamentare (impossibile raggiungere PPE e PSE). Perchè? Ce lo dicono gli ultimi sondaggi. Proviamo a dividere l'Unione Europea in quattro blocchi: blocco nordico, blocco occidentale, blocco orientale e blocco meridionale.

Nel blocco nordico collochiamo Gran Bretagna, Svezia, Finlandia, Danimarca, Irlanda, Lituania, Lettonia ed Estonia. In questa area il PSE (Partito Socialista Europeo) sembra nettamente prevalere, soprattutto perchè gli elettori di centrodestra si dividono equamente tra PPE (Partito Popolare Europeo) ed ECR (Conservatori e Riformisti Europei), senza dimenticare gli euroscettici della EFD, molto ben radicati soprattutto su suolo britannico. Paradossalmente qui l'ALDE trova la maggior percentuale di suoi elettori: in Danimarca è addirittura la prima forza politica. Sarà la mentalità nordica, sarà la tradizione liberale, ma la percentuale dell'ALDE arriva ben al 13%.

Spostiamoci ora un po' più a sud: ecco il blocco occidentale, formato da Germania, Francia, Olanda, Belgio e Lussemburgo. L'area europea più popolata, quella che attribuisce più seggi al Parlamento Europeo. Qui il PPE vince, con una situazione contrapposta a quella nordica: sono infatti le sinistre ad essere divise in modo abbastanza netto tra PSE, GUE (Sinistra Neocomunista) e Verdi Europei. Non dimentichiamo il temibile Front National di Marine Le Pen, che a quanto pare si schiererà nel Gruppo degli Indipendenti: la nostra unica speranza è che gli euroscettici restino divisi e non facciano fronte unico, ve li immaginate Grillo e Le Pen a braccetto mentre distruggono anni e anni di integrazione europea? Io no, perchè farò di tutto per impedire la loro vittoria! Comunque, tornando a noi, nell'area occidentale l'ALDE raggiunge l'11%: ringraziamo il Benelux, memore dell'ottima azione politica di Guy Verhofstadt (già Presidente del Consiglio in Belgio dal 1998 al 2008 e nostro validissimo candidato alla Commissione Europea).

Avanziamo ad est, nel blocco orientale: Polonia, Romania, Ungheria, Repubblica Ceca, Austria, Bulgaria, Slovacchia. Questi paesi, tranne l'Austria che è diventata ahimè ormai una roccaforte euroscettica (dico ahimè perchè la considero un po' la mia seconda casa, mi dispiacerebbe perderla), hanno tutti vivo il ricordo dell'esperienza sovietica e una forte tradizione cristiana: sono perciò i conservatori di vari colore a prevalere, tra PPE, PSE ed ECR. Qui l'ALDE ha raggiunto in pochi anni il 9%, grazie alla politica di europeismo convinto. D'altronde non si vuole cadere ancora una volta nella rete russa: lo Zar è alle porte, domenica si prenderà la Crimea...

Infine arriviamo a sud: Spagna, Portogallo, Grecia, Crozia, Slovenia, Cipro e Malta. E noi. Il PPE e il PSE se la giocano in questo blocco, con la GUE e gli Indipendentii che sfiorano il 15%. Una visione catastrofica. E l'ALDE? Se volete dormire sogni tranquilli, smettete di leggere. Altrimenti continuate.
Avete deciso di guardare in faccia alla realtà: l'ALDE, nel blocco meridionale, arriva complessivamente a malapena allo 0,5%. Non sono bastati i bravissimi Watson e i Verhofstadt a cambiare la situazione. Siamo la vergogna del liberaleuropeismo. 

Dobbiamo fare qualcosa. Per "noi" non intendo più i vari partiti liberali che ho e abbiamo cercato di unire in questi mesi, utilizzando tutti i mezzi a nostra disposizione, ma noi, elettori della base, persone semplici senza incarichi ufficiali, spinti avanti semplicemente dalla grande passione politica riformista e dalla voglia di cambiamento radicale. L'Italia, il più grande paese dell'Europa Meridionale, deve passare dalla condizione di fanalino di coda al quella di luminoso faro di liberalismo.


Daniel Baissero

14 marzo 2014

14000 NO contro la tassa SIAE sulla tecnologia

Cambia governo, cambia ministro della cultura, la Siae ci riprova.
Se il precedente ministro Bray aveva saggiamente ignorato la richiesta Siae di un aumento dell'equo compenso sui prodotti tecnologici, rimandandone decisioni e provvedimenti a un indefinito domani, cambiata la testa non son passate due settimane che la società torna alla ribalta.

Questa volta però trova sul fronte opposto oltre 14 000 firme raccolte da Altroconsumo e già presentate all'ex ministro contro il suddetto aumento.
La Siae tenta quindi di scendere sullo stesso terreno di guerra.
I primi di Marzo gli associati Siae ricevono una mail firmata Gino Paoli che chiede di firmare una contropetizione a sostegno dell'equo compenso. L'unica differenza che la loro petizione organizzata via mail non ha nessuna tracciatura pubblica on line.

Con un inserto promozionale sul sito di Repubblica lanciano un nuovo dominio a sostegno della petizione copiaprivata.it. Il sito, oltre a risultare fuorviante in quanto a primo impatto sembra più un sito di sostegno alla candidatura agli oscar di Sorrentino, mette in vetrina tutti i suoi Nobili che hanno firmato la petizione. Vengono inoltre presentate alcune mezze verità decontestualizzate che a mio avviso non giustificano comunque un aumento dell'equo compenso. Alcuni argomenti invece sono totalmente devianti, affermare che l'aumento avverrà a discapito solamente delle aziende che producono i prodotti interessati e non graverà sull'utente finale è come dire che la legge di gravità non esiste.
La morale della storia resta comunque che nonostante i migliaia di associati direttamente toccati e interessati dalla vicenda, nonostante Repubblica, nonostante le loro illustri firme, nonostante si considerino il "grande baluardo della cultura italiana", nonostante lo annuncino in modo trionfalistico ("Il portale è diventato in breve il punto di riferimento delle adesioni alla petizione, che ha quadruplicato, nel giro di pochi giorni, il numero delle firme") il numero delle firme dichiarato ad oggi è di appena 2.186, un settimo rispetto a quelle raccolte da Altroconsumo.
Conteranno di più 2000 illustri firme, in barba al terzo popolo di cui una volta Gino Paoli ne era rappresentanza, di persone che per vivere e per avviare nuove produzioni molto probabilmente non hanno neanche bisogno degli introti Siae, oppure le oltre 14 000 firme raccolte da Altroconsumo che includeranno molto probabilmente quell'oltre 60% di artisti associati alla Siae ogni anno non riesce a ripagarsi neanche la quota d'iscrizione con gli introiti dei diritti d'autore?Al nuovo ministro l'ardua sentenza. Sarà il paese dove avanza ciò che è giusto o ciò che ha le raccomandazioni giuste?



Daniele Spera

13 marzo 2014

Un congresso per ricominciare

In questo articolo ho deciso che mi spoglierò della classica imparzialità e moderazione che di solito utilizzo nello scrivere i miei brevi articoli. Questo perché domenica scorsa si è tenuto a Firenze il secondo congresso nazionale di Fare per Fermare il Declino in cui ho avuto l'onore di ricoprire il ruolo di delegato nazionale per la mia regione,  l' Emilia Romagna.

Alla vigilia del congresso nella città gigliata potevano presentarsi alcuni spiriti maligni e ombre. Il partito infatti si presentava sulla carta come depauperato in termini di consensi, che secondo i sondaggi più recenti ammontano allo 0,5% rispetto al 1% del post elezioni politiche, e orfano di svariate adesioni di membri confluiti nella nuova associazione di Alleanza Liberaldemocratica per l'Italia (ALI) che attualmente è posta sotto l'egida della ex presidentessa di Fare nel periodo post- Giannino, Silvia Enrico.
Per fortuna invece, l'aria che si è respirata era di straordinario entusiasmo e dibattito molto costruttivo tra i due concorrenti al ruolo di coordinatore nazionale del partito, l'uscente Michele Boldrin e lo sfidante Corrado Rabbia.

Un'ampia maggioranza ha confermato il coordinatore uscente che, a mio avviso , con la sua mozione "Oltre Fare" ha scelto una strada che merita di essere percorsa poiché più coraggiosa e colma di voglia di mettersi in gioco per costruire un vero polo liberale alternativo a tutto il panorama politico e, perché no, che si allontani decisamente dalla ormai tanto vituperata "vecchia politica".

Altri due spunti rilevanti meritano di essere presi in considerazione. Il primo riguarda il rinnovo della Direzione Nazionale che ora può esprimere spunti e slanci forse più innovativi ed efficaci considerando il mix importante tra nuovi innesti giovani come Giuseppe Carteny, David Cioccolo, Frederic Gebhard e Valeria Viara che andranno ad amalgamarsi con l'esperienza dei "cavalli di razza" come Tonelli, De Blasi e Bertazzoli, giusto per citarne alcuni.

La seconda questione che mi rende felice, riguarda l'elezione per acclamazione dell'imprenditore Santo Versace a presidente dell'Assemblea Nazionale di Fare. Assieme a Boldrin e alla sua verve comunicativa, i due andranno a formare una sorta di Giano Bifronte con il compito di accrescere i consensi di Fare ogni qualvolta si presenteranno in televisione , ormai un mezzo di fondamentale importanza per quanto riguarda la comunicazione politica . Questo potrebbe essere un importante segnale del fatto che l'articolo che scrissi, riguardante un possibile ritorno di Oscar Giannino e della necessità di un comunicatore carismatico all'interno del partito, ha ricevuto l'attenzione giusta aprendo una questione importante risoltasi con l'acclamazione di un personaggio comunque di spicco e mediaticamente "rompighiaccio" come Versace.

Ora il partito proverà la febbre con le elezioni europee che, nonostante l'eterogeneità della lista in cui correrà, saranno un trampolino di lancio decisivo per testarne i consensi.
A presto fattivi, e darsi da Fare!


Nicolò Guicciardi


12 marzo 2014

Europa, un'opportunità finora sprecata

A maggio si terranno le elezioni europee. L'Italia è stato uno dei sei paesi fondatori, anche grazie all'importanza del pensiero di grandi uomini e donne come Altiero Spinelli. Per decenni, il nostro è stato un paese di europeisti, di persone che credevano con forza in un'Europa unita e che ritenevano che questa fosse l'unico mezzo per garantire pace e prosperità economica ai paesi continentali. Complici la crisi e le politiche di austerity spesso non comprese appieno e viste come ingiusta e cinica severità, tale percezione dell'Europa è mutata. Questo non è un problema esclusivamente italiano: i sondaggi francesi danno il Front National di Marine Le Pen come primo partito francese, mentre in Inghilterra l'UKIP (United Kingdom Independence Party) di Nigel Farage ha a sua volta ottime possibilità di fare il pieno di voti. E' quindi sensato interrogarsi su quali siano le cause di tale sfiducia nell'Unione Europea e chi siano i responsabili della mancata piena integrazione dell'Italia nel contesto comunitario.

Guardando al cammino dell'Italia, in questo lungo processo di integrazione europea, e quindi al suo passato, al suo presente ed al suo futuro, non possiamo non avere da una parte certezze e dall'altra timori, in particolare l'amara certezza che l'Unione europea ha rappresentato per il nostro paese una grandissima opportunità - ahimè - sprecata. Al di là di ciò che sostengono i crociati dell'anti-euro la moneta unica ha permesso al nostro paese risparmi sui tassi d'interesse dell'ordine di centinaia di miliardi. Risparmi che ci avrebbero quindi dato finalmente l'occasione di mettere mano al nostro debito pubblico e modernizzare il nostro paese, ma che al contrario, nella scarsa lungimiranza della nostra classe dirigente, sono stati proprio utilizzati per aumentare la spesa pubblica concorrendo a peggiorare il problema, nell'ottica di quell'avvilente politica degli applausi interessata a regalie e risultati immediati dal prezzo proibitivo per le generazioni future, quindi, per la NOSTRA generazione.

Dall'altra, legittimi timori non possono che essere rivolti al futuro: quanto a lungo l'Italia non saprà cogliere e sfruttare le opportunità forniteci dall'UE? Per quanto a lungo continueremo a sprecare e a non utilizzare i miliardi di euro dei finanziamenti comunitari che ci darebbero la preziosissima opportunità di rilanciare il nostro meridione e di modernizzare le infrastrutture italiane?
Solo il tempo ci darà la risposta ma, continuando con questo registro, difficilmente questa sarà quella sperata.

Risulta poi difficile biasimare l'appena citato atteggiamento di diffidenza verso l'Europa degli italiani, in ragione della scarsa considerazione che la nostra classe politica ha per decenni dato alle istituzioni comunitarie. Per troppo tempo, infatti, il Parlamento Europeo è stato il parcheggio degli incompetenti e dei trombati; questo i parlamentari degli altri paesi comunitari lo sanno fin troppo bene e di certo la cosa non va a nostro favore a livello di credibilità.
Lo scorso Ottobre ho avuto il piacere di visitare il Parlamento europeo assieme ad altri studenti, ospite dalla Presidente della Commissione Industria Lia Sartori, nostra corregionale.
La stessa Presidente in quella occasione ci disse che i nostri parlamentari spesso sono ignorati dai loro colleghi, poiché troppo vaghi e troppo dediti a discorsi fumosi e mediocri.In altre parole, i parlamentari degli altri paesi si limitano ad ascoltare i primi 30 secondi, per poi nella maggior parte dei casi mettere via l'auricolare con la traduzione e riprendere a lavorare sui loro documenti.

Tale atteggiamento della nostra politica evidentemente non è poi tanto cambiato visto lo scarso impegno nel costruire una proposta seria e concreta per le europee. Troppe liste e troppi candidati si sono ormai adagiati nel populismo più becero, in quella formula demenziale del meno Europa e più sovranità. Sovranità che assume in tale contesto tragica vuotezza.

Assolutamente legittimo, come ha sottolineato a mio avviso correttamente Guy Verhofstadt (ex premier belga ed ex presidente dell'ALDE) lo scorso 4 Marzo a Roma, chiedersi che valore e che significato avrà la sovranità in un contesto in cui i paesi nazionali non sapranno fronteggiare e vincere le sfide della globalizzazione? E che senso e che valore avrà la sovranità in un contesto in cui nel G8 non ci saremo più noi, ma nemmeno la Germania o la Francia bensì Cina, Brasile, India Russia, States e via discorrendo?

L'Italia ha bisogno di una voce forte e autorevole, questa deve giungere  senz'altro dai nostri parlamentari europei e da un nuovo modo di intendere le istituzioni comunitarie da parte della nostra Politica, ma è chiaro, tuttavia, che la vera partita europea non si giochi su quel campo.
Il Parlamento europeo ha pochi poteri e tra questi non vi è quello di iniziativa.
I veri attori ed artefici della costruzione di una posizione italiana credibile e forte sono infatti i membri dell'Esecutivo. Ovvero il premier ed i suoi Ministri in sede dei diversi Consigli europei. E in considerazione di ciò  penso che sia di per se evidente che il dare l'immagine di un paese mutevole, frenetico dai continui cambi di Governo e di Ministri non ci è di aiuto.

In conclusione l'Italia probabilmente prima di puntare il dito verso Bruxelles e Strasburgo dovrebbe puntarlo verso l'interno facendo una sana autocritica.
In altre parole, è solo dal cambiamento interno che può partire a sua volta un mutamento positivo della nostra posizione all'interno dell'Unione europea.


Umberto Stentella

10 marzo 2014

Vi spiego chi sono i giovani liberali per l'Europa

Giovani Liberali per l’Europa: già il nome è un programma. Il gruppo è formato da Giovani, perché siamo tutti under 35, da Liberali, perché siamo sostenitori accaniti dei principi del sano liberalismo, e da Europeisti, perché crediamo che solo vivendo in una vera Unione Europea, non solo economica ma anche politica, possa assicurarci un futuro.

Nasciamo a metà gennaio, quando, trovandoci su quella che è l’unica piattaforma che consente una comunicazione rapida e a costo zero, Facebook, ci rendiamo conto che la galassia liberale italiana deve essere finalmente unita, in vista delle elezioni europee di fine maggio. Proveniamo da diversi partiti/movimenti, ognuno ha la sua esperienza, ognuno ha la sua diversa sfumatura ideologica: ma tutti noi siamo accomunati dal sostegno verso l’Alleanza dei Liberali e Democratici per l’Europa (ALDE), tutti noi sogniamo un’Unione Europea 2.0 federale e simboleggiante libertà sia nel campo sociale sia in quello commerciale.

Dopo aver aderito al gruppo Facebook, ci siamo subito chiesti come potevamo influire sulle decisioni dei “grandi”. Non avendo grandi disponibilità economiche e neppure grande visibilità, abbiamo optato ancora una volta per la via di Internet e dei Social Network: prima con una raccolta firma online, poi con un appassionato videomessaggio che ha raggiunto e superato le mille visualizzazioni su Youtube, siamo riusciti a far sentire la nostra voce e la nostra forte volontà di superamento di vecchi personalismi, sentiti da noi come qualcosa di estraneo e puramente dannoso. I complimenti e i ringraziamenti sono stati tanti, anche da personalità del calibro di Guy Verhofstadt e Graham Watson, leader internazionali dell’ALDE.

Tutto ciò non ci è bastato: abbiamo continuato a dialogare tra noi, confrontando le nostre idee, preparando tanti progetti futuri, che vadano ben oltre lo schermo del computer: siamo insomma pronti a scendere in strada per diffondere il LiberalEuropeismo, prima e dopo le elezioni europee. Ma non possiamo farcela da soli: necessitiamo di aiuto sia morale sia economico da parte dei “grandi”, come i “grandi”, permettetemelo, hanno bisogno della nostra creatività e attivismo. Troviamoci, organizziamo un incontro nazionale al più presto, incontriamoci. Facciamo squadra. Chi è pronto a chiedere il nostro aiuto? Volete scendere dalle cattedre? Noi vi stiamo aspettando, ma non lo faremo ancora per tanto.


Daniel Baissero

7 marzo 2014

I dissidenti e l'onda che travolge




- Vi siete accorti di quello che è successo? Vi ricordate ancora cosa vi avevo chiesto all'inizio della settimana? Se in questo paese sia possibile un'altra dittatura. E' appena successo, il fascismo: ci siamo ritenuti esseri speciali, migliori degli altri. Ma la cosa peggiore però è che abbiamo escluso dal gruppo chi non la pensava come noi. Li abbiamo feriti, e non voglio immaginare che altro avremmo potuto fare. Io mi scuso con tutti voi, siamo andati oltre, io sono andato oltre. Deve finire qui.

- Ma non tutte le cose dell'Onda erano negative, ce ne siamo accorti tutti. Sì, abbiamo commesso degli errori, ma li possiamo correggere.
- No, queste cose non si correggono.




Se non sapete di cosa sto parlando è un estratto del discorso finale del film del 2008 L'Onda. Molto brevemente la trama è la seguente: Rainer Wenger, professore di un liceo tedesco, si trova a tenere un corso a tema sull'autocrazia e, alla domanda se sia possibile una nuova deriva autocratica ai nostri giorni scopre come i suoi studenti la ritengano ormai impossibile. Coglie lo spunto ed inizia un esperimento. Poco alla volta, partendo da aspetti semplici ed apparentemente ingenui, talvolta velati da buoni propositi, spinge i suoi studenti ad atteggiamenti sempre più spinti fino all'atto finale. Convoca il gruppo, l'Onda, e lo inizia all'accettazione acritica del pensiero del capo. L'insegnante ha vinto e gli studenti ne sono usciti sconfitti: scoprono di aver ripercorso senza accorgersene quegli stessi comportamenti che fino a poco tempo prima aborrivano e ritenevano non avrebbero mai intrapreso.

Lasciamoci ora andare un attimo con la fantasia. Lasciamo andare i nomi di Rainer Wegner e l'Onda. Proviamo ad immaginare come potrebbe essere il discorso altrimenti.

"Vi siete accorti di quello che è successo? Vi ricordate quando vi avevo promesso una democrazia vera? Non vi rendete conto che in realtà non avete nessuna voce in capitolo sugli aspetti fondamentali del movimento? Non potete scegliere le regole interne, non potete controllare il bilancio del portale, non potete scegliere su quali questioni chiedere l'opinione della base. Non vi rendete conto che sono io a decidere secondo la mia convenienza su cosa chiedere la vostra opinione e soprattutto su cosa non chiedervela? E spesso in molte cose che contano veramente non ve la chiedo facendo di testa mia. E ve la chiedo su questioni che alla fine non mi cambiano più di tanto, oppure ve la chiedo in modo da lasciarmi ampio margine di manovra. E in tutto questo avete l'illusione di essere voi a decidere.
Ho lasciato intendere a tutti quanti avessero una qualche idea bizzarra che qui avrebbero potuto trovare terreno fertile per portare a compimento la loro tesi, lasciandoli sbracciare e sfogare. In realtà la cosa non mi ha mai importato, bastava fare massa. Ed è pure stato facile: bastava ammiccare, incitare, propagandare concetti incompleti e vaghi e urlare di volta in volta quel che conveniva al momento. Qualche volta ci scappava la contraddizione, ma a chi importa? L'importante è colpire, suggestionare, pochi vanno poi a verificare se le tue ricostruzioni stiano in piedi o meno.
Tentenno sulla nostra moneta per solleticare gli appetiti di entrambe le parti. Che importa dire le cose chiare e subito? Ormai vi siete disabituati a pretenderlo.
Credete che l'illusione dell'uscita facile e miracolosa sia reale? Quei paesi che vi indicavo come modello in realtà stanno male per le loro politiche dissennate.
Credete che promettere reddito gratis a tutti e magari scollegato dal lavoro sia umanamente fattibile? Ma sì, chi si lascia ammagliare bene, agli altri basta raccontare qualcos'altro. Ad ognuno il suo.

E tutto questo lo accettate senza protestare. Son cose che altrimenti non avreste accettato ma ora ve le fate comunque andare bene. Criticavate chi imponeva un controllo verticistico sul suo partito ed invece ora lo accettate. Eravate contro le balle al solo fine di raccattare voti ed ora le accettate. Eravate contrari all'incoerenza dei soliti politicanti ed ora l'accettate. Eravate contro i programmi inconsistenti ed ora li accettate.  Perché continuate ad accettare tutto questo senza chiederne conto? Io vi dico che l'importante è prima sostituire gli altri e lo accettate.. ne siete così sicuri?

Ma il peggio è che siete arrivati fino al punto di accettare l'espulsione non solo di chi non la pensava come noi, ma addirittura di chiunque osasse criticare tutto questo. State accettando che io allontani chi cerca di ricordarvi quali fossero i vostri propositi iniziali e di come io li stia infrangendo tutti. Non oso immaginare fin dove potrei spingervi. Io mi scuso con tutti voi, siamo andati oltre. Deve finire qui."


PS: già posso immaginarmi alcune risposte, quindi lo dico fin da subito. Lo so, molti altri non sono meglio. Ma il fatto che gli altri non siano meglio non implica rinunciare a pretenderlo (il meglio o almeno qualcosa di coerente) a partire da coloro che sosteniamo. E lo so, c'è una grande differenza tra vertici, staff, eletti ed attivisti, semplici sostenitori e semplici elettori. Ma il mio vuole essere uno spunto di riflessione, non un'analisi, quindi passatemela.





5 marzo 2014

Rosolatum

Nella giornata di ieri abbiamo assistito all'approdo della bozza della riforma elettorale dell'Italicum alla Camera dei deputati.
Forse la maggior parte di coloro che hanno seguito la notizia sui telegiornali e sui media nazionali,
avranno esultato o comunque salutato con felicità tutto ciò, visto il periodo di stallo decisionale durato otto lunghi anni.
In verità vi sono ben pochi motivi per esultare o gioire, siccome una piccola ma rilevante proposta quale
il "lodo D'Attorre" ha avuto l'avvallo della maggioranza di Montecitorio.
Tale proposta prevede la modifica della legge elettorale vigente solamente alla Camera dei deputati, lasciandola intatta al Senato della Repubblica, essendo già stata calendarizzata la riforma della camera alta in una di stamp
o simil-federalista non privo di numerose imprecisioni, come personalità ben più prestigiose di chi vi scrive hanno provveduto a spiegare.
Evitando di tediare a lungo sugli esiti di una eventuale tornata elettorale in queste condizioni, l'unica cosa che chi vi scrive si sente di dire è che regnerebbe il caos e l'ingovernabilità più totale.
Ma sono altri gli spettri che aleggiano sul palazzo e sul governo a guida Renzi se anche dovesse andare in porto la riforma solo alla Camera.
Infatti, il presidente del consiglio rischierebbe grosso di passare, per via di una svista di non poco conto, da salvatore della patria dalla innata rapidità decisionale a rosolato da una cortina di instabilità e ingovernabilità da lui stesso creata , anche considerando il fatto che non risulta per niente scontato che il Senato porti avanti una riforma che senza alcun dubbio lo vedrebbe ridimensionato, senza fare nessun tipo di ostruzionismo.
Naturalmente ci si augura che Matteo Renzi non finisca in questo scomodo "cul de sac", ma si sa che, come diceva un noto politico democristiano ormai scomparso , a pensare male si fa peccato ma spesso ci si indovina

Nicolò Guicciardi

4 marzo 2014

Rivalutazione di Bankitalia: regalo innocente o aiuto di Stato?

La fiamma del dibattito acceso dalla legge n.5/2014 che ha rivalutato le quote di Bankitalia è stata recentemente alimentata da una lettera che la Commissione UE ha inviato al nostro Ministero dell'Economia. La Commissione, su istanza dell’europarlamentare Rinaldi (IDV), ha chiesto chiarimenti, perché l’operazione con cui il Parlamento ha alzato il valore delle quote della banca centrale da 300 milioni di Lire a 7,5 miliardi di Euro, potrebbe configurare un aiuto di Stato confliggente con la normativa comunitaria.

Qualora la Commissione dovesse giungere a tale conclusione, la bollente agenda di Renzi sarebbe ulteriormente gravata dall’onere di ridisegnare il provvedimento. Nella fervida attesa di una risposta sulla faccenda da parte del Tesoro, cerchiamo di capire perché l’operazione è stata oggetto di una richiesta di chiarimenti da parte della UE. Gli aiuti di Stato sono definiti dal Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, come finanziamenti a favore di imprese, concessi dallo Stato o da imprese pubbliche, che siano in grado di arrecare un concreto vantaggio ai loro destinatari, tale da generare un impatto sulla concorrenza ed incidere sugli scambi tra Stati membri. Per questo, gli aiuti sono di norma vietati. Soltanto superando il vaglio della Commissione, che valuta la sussistenza di una ragione per una deroga al divieto (per esempio, la necessità di ovviare a disastri provocati da calamità naturali, o a risolvere problemi occupazionali), gli aiuti possono essere autorizzati.

Perché la rivalutazione di Banca d’Italia potrebbe configurare un aiuto di Stato? Nonostante i partecipanti al capitale di Bankitalia siano principalmente banche private, non vi sono dubbi che, dal punto di vista soggettivo, essa costituisca un’impresa pubblica. Già nella legge bancaria del 1936, infatti, la Banca d’Italia è definita all’art. 20 come “istituto di diritto pubblico”. Nonostante l’avvenuta abrogazione della legge bancaria ad opera del Testo Unico Bancario del 1993, l’inclusione della nostra banca centrale tra le “Autorità Creditizie” del Titolo I, di fianco al Ministero dell’Economia e delle Finanze ed al CICR (Comitato interministeriale per il credito ed il risparmio) conferma la sua disparità rispetto alle semplici banche private. 

La sua essenza di istituzione pubblica, al di là delle funzioni di vigilanza e di controllo sugli istituti di credito, è da rinvenirsi nel monopolio ad essa concesso nella creazione della moneta, ovvero in quello che viene storicamente denominato “signoraggio”. La funzione di emissione in via originaria di denaro è riservata in via assolutamente esclusiva alla Banca d’Italia a partire a partire dal 1926, quando i provvedimenti intitolati “alla tutela del risparmio” hanno sancito la sua sovranità sulle altre banche.
Dal 1893, anno della sua fondazione, sino allo scorso gennaio, il valore delle quote di Banca D’Italia è rimasto immutato alla cifra di 300.000.000 di lire, pari al suo capitale sociale originario. È chiaro che l’importo delle quote, anche nel suo aggiornamento ad € 156.000,00, rappresenta un valore storico e simbolico. D’altronde, sinora, non si era mai provveduto ad una rivalutazione di tale stima in quanto le quote di Banca d’Italia, non sono (o forse è meglio dire “non erano”) alienabili. Il ricavato del signoraggio viene destinato in parte alla costituzione ed al rafforzamento delle riserve ordinarie e straordinarie ed in parte allo Stato. Soltanto una esigua parte degli utili veniva distribuito sotto forma di dividendi alle banche ed agli altri partecipanti.

Il logico motivo per cui solo una minima parte delle risorse è stata di volta in volta destinata alle banche partecipanti è il seguente: i ricavi di Bankitalia provengono esclusivamente dall’attività di creazione di moneta e non da attività di investimento delle banche private. In una società privata, i dividendi vengono distribuiti ai soci in quanto il profitto dell’attività d’impresa deriva dal conferimento delle risorse economiche degli stessi, che, investendo per creare un'organizzazione di mezzi e di persone finalizzata allo svolgimento di un’attività economica, godono dei ricavi che tale attività genera. Attraverso il trucco contabile operato con la legge 5/2014, il denaro che prima era stato accantonato a favore del Tesoro, è diventato capitale di Banca d’Italia, le cui quote sono intestate, per lo più, ad istituti di credito privati.

In apparenza, l’operazione sembra meramente contabile, non determinando di fatto un trasferimento di liquidi. Ma l’ingente incremento di valore delle quote determina, come conseguenza, un rafforzamento del patrimonio delle banche, oltre ad un cospicuo aumento dei dividendi distribuiti. Il valore complessivo delle partecipazioni, infatti, è passato da 300 milioni di Lire a 7,5 miliardi di Euro. Se si considera che la remunerazione massima delle partecipazioni è stata fissata nel 6% del valore nominale derivante dalla rivalutazione, ciò significa che ogni anno, a discrezione dei vertici di Banca d’Italia, 450 milioni di Euro potrebbero essere distribuiti alle banche. In questo senso, colgono il segno coloro che, nelle scorse settimane, hanno definito questa operazione “un regalo alle banche”.

Il fatto che gli istituti di credito partecipanti al capitale di Bankitalia, a fronte di un investimento praticamente nullo effettuato quasi un secolo fa, possano godere gratuitamente dei proventi dell’attività di creazione della moneta svolta dalla Banca d’Italia, può essere parafrasato efficacemente con le parole pronunciate più di un mese fa da Boldrin, Bisin e Moro: “Sussidiamo banche private con i proventi del signoraggio o no?” Se pensate che i regali prospettati alle banche da questa operazione siano finiti, ebbene, vi sbagliate: secondo il testo della legge, infatti, da un lato, è proibito ad ogni partecipante di detenere più del 3% delle quote della Banca d’Italia e, dall’altro, l’istituto centrale può acquistare temporaneamente le proprie quote per salvaguardare il patrimonio.

Ciò comporta che istituti come Unicredit e Intesa San Paolo (ma anche, per esempio, Generali, Cassa di Risparmio di Bologna, Carige), che detengono quote ben superiori al 3%, siano “costrette” a piazzare sul mercato l’eccedenza, naturalmente al valore derivante dalla rivalutazione. In caso non riuscissero a vendere le quote in eccesso, nessun problema: sarebbe Banca d’Italia a riacquistarle. Altri profili di ambiguità sono legati alla tassazione sostanzialmente agevolata prevista per le plusvalenze derivanti dalla rivalutazione, che sconteranno il 12,5% come i titoli di Stato, anziché il 20% come gli altri strumenti finanziari. Insomma, tirando le somme, pare di poter dire che, effettivamente, c’è puzza di aiuto di Stato. Attendiamo “fiduciosi” la risposta del Tesoro.


David Mascarello

3 marzo 2014

Roma: torniamo al nun c'è trippa pe' gatti

I fatti politici di questi giorni hanno fatto emergere un dissidio molto forte nell'opinione pubblica italiana sul decreto Salva Roma. Credo che in realtà andrebbe chiamato “ decreto salva dirigenti clientelari che sfruttano Roma". Molti sono i comuni in dissesto finanziario, ma Roma è un caso nazionale perché oltre ad essere la capitale politica, e anche un centro economico importante, è un Museo immenso, è la capitale del Vaticano, ospita la sede della FAO, è la città più grande d'Italia, è molto estesa sul territorio e l'elenco potrebbe continuare.

Non vorrei però fermarmi alla differenza rispetto al resto d'Italia ma parlare di fatti concreti. Per chi vive a Roma e chi la vive come frequentatore assiduo è chiaro e palese che siamo in una situazione di dissesto economico da molto tempo. La classe politica ha fallito, sia la sinistra, che storicamente a Roma è maggioranza, sia la destra, nell'ultimo disastroso quinquennio. Un cambio di classe dirigente è doveroso. Ritengo però che non sia il “fallimento” finanziario di Roma a creare il presupposto per il rilancio di una gestione della cosa pubblica secondo criteri almeno accettabili. È evidente all'opinione pubblica così come a qualunque dirigente, che abbia un minimo senso della meritocrazia, che non è possibile che un paese civilizzato, come vuole essere l'Italia, non sia dotato di una legislazione tale che obblighi all’incandidabilità i dirigenti, che hanno portato al dissesto finanziario un ente pubblico. Credo che servano dirigenti nuovi che abbiano la forza, come fece Nathan (sindaco di troppo tempo fa) nel dichiarare: Nun c’è trippa pe’ gatti.

Tale storia, dato che molti non la conoscono, credo meriti un breve cenno. Nathan divenne famoso per essere il sindaco del primo piano regolatore del 1909 (come è attuale questo sindaco) per evitare la continua speculazione edilizia e ancora più famoso perché rilanciò l'istruzione primaria e professionale ritenendola centrale per lo sviluppo (sembra ancora più attuale). Infine Nathan fu famoso per essere un attento lettore del bilancio comunale risanandolo, come nessuno mai aveva fatto prima o avrebbe fatto in seguito. Nella sua attività di analisi del bilancio trovò le spese per le frattaglie da dare ai gatti che venivano allevati per derattizzare gli archivi romani. Nathan decise di tagliare anche tali spese e da lì divenne famosa la frase: nun c'è trippa pe’ gatti.

Anche questo sarebbe molto attuale se non fosse che per la politica moderna quello che conta è rimandare al futuro i problemi, facendoli pesare sulle generazioni successive, anziché affrontarli in modo efficace. Roma è un'opportunità di rilancio per il paese, troppo spesso dilaniato da dirigenti pubblici troppo attenti alla politica dei loro interessi e poco inclini ad occuparsi delle problematiche della Polis. Un cambiamento urgente e doveroso e possibile, con l'impegno e con un progetto di risanamento del bilancio del Comune e delle sue partecipate e con una gestione dei servizi pubblici in linea con le capitali europee per costi e l'efficienza. L'opportunità di sfruttare il patrimonio di Roma c'è e appartiene a tutti gli italiani. Ora abbiamo bisogno di qualcuno che legga il bilancio del Comune di Roma cosi come degli altri del nostro paese e che operi quei tagli necessari perché ormai nun c'è più trippa pe’ gatti.


David Cioccolo