“Advocates of Internet
freedom have repeatedly warned us that Italy's traditional elites -- on both
sides of the political spectrum -- are very uncomfortable with the
Internet's ability to bypass the traditional media that they control.”
“I
sostenitori della libertà di Internet ci hanno ripetutamente avvisato che le
tradizionali elites italiane – di
entrambi gli schieramenti politici – sono molto a disagio con
l’abilità di Internet di bypassare i media tradizionali che controllano.”
Era
Dicembre 2010, ricordate? Scoppiava il caso Wikileaks, e tra gli altri saltava
fuori un cablogramma a firma dell'allora ambasciatore USA David
Thorne. La critica era netta: le elites italiane sono a disagio quando devono
confrontarsi con la capacità dei nuovi mezzi di bypassare la loro tradizionale
rete di controllo, come Internet per l'appunto; e piuttosto che agire in
collaborazione e coerenza con le autorità competenti sovranazionali… niente! La
tentazione è forte, e ci scappa il colpo di coda della regolazione restrittiva
("Me ne frego!" avrebbe detto un goliardo di qualche decennio fa…).
Il
decreto in questione era quello di Romani (Paolo, quello del processo per falso fallimentare della tv Lombardia7 per intenderci). In particolare il decreto nella
sua prima stesura prevedeva per chiunque desiderasse fornire un "servizio
di media audiovisivo" attraverso reti di comunicazione elettroniche la
denuncia di inizio attività e l'autorizzazione da parte dell'autorità, nonché
il versamento di una tassa di 3000 euro. Fortunatamente alla fine non è andata così.
Ma
torniamo ai giorni nostri: BS non è più primo ministro, e apparentemente non c'è
nessun conflitto di interesse in gioco, ma l'intolleranza alla libera
concorrenza rimane.
La
parola d'ordine è Web-Tax: non riesci a rendere competitive le aziende italiane
perché oberate dalle tasse? Non hai la capacità di mediare un regime fiscale
coerente in tutta Europa? Non importa! Puoi sempre improvvisare un nuovo regime
impositivo: imporre di acquistare servizi pubblicitari solo presso soggettiaventi partita IVA italiana (chissenefrega del principio cardine di liberà
di circolazione e di stabilimento in Europa); aggiungere nuovi sofisticati
concetti su cosa comporti legalmente il passaggio di dati sulle reti di
comunicazione (al diavolo gli accordi e le definizioni concordate a proposito
di "organizzazione stabile" in un determinato territorio); fantasticare
entrate al di sopra di ogni stima affidabile (ricordate la Tobin Tax?);
ignorare beatamente che le cose si fanno in due: supponiamo questa follia
diventi realtà, chi ci assicura che un domani anche Irlanda, UK, Germania,
Francia etc non impongano alle aziende italiane operanti in quegli stati di
dotarsi obbligatoriamente di partita IVA irlandese, inglese etc..? Vorrei
vedere quanto sarebbe ancora conveniente alla fine di tutto…
Le
questioni comunitaria e fiscale sono delicate, consiglio vivamente (anzi,
leggeteli!) gli articoli di Tim Worstall su Forbes e di
Piercamillo Falasca su Leoni Blog.
No,
veramente, se vogliamo mettere ordine adeguando il funzionamento del sistema
fiscale alla nuova realtà portata alla luce dal mercato dei servizi telematici è
un conto; improvvisarsi novelli Don Quijote che emendamento in resta si
lanciano contro i mulini dei giganti del web proclamando a gran voce la
retorica del bravo burocrate che vuol far giustizia redistributiva dei ricavi in
suolo patrio.. no grazie, che a pagar i danni saremmo solo noi, i Don Quijote
al più si guadagneranno la bella mostrina da sfoggiare alle elezioni prossime
venture.
Probabilmente
non potremo più fare del gossip su ciò che pensa l'ambasciatore USA di questa
nuova trovata, ma di sicuro potremo immaginarlo.
Addendum
del 18/12: sembra che il governo stia ricevendo le critiche di questi giorni, il
metodo è quello dei dilettanti allo sbaraglio: “ma sì dai, buttiamola lì, poi
si vedrà…se se la bevono bene, altrimenti la cambiamo…” peccato che ci stiano
coprendo di ridicolo nel frattempo. Rimanete sintonizzati per gli aggiornamenti
futuri.
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