Il
Governo ha oggi approvato il decreto riguardante l'emergenza in cui versano i
nostri istituti penitenziari e la sensazione è che si sia di fronte ancora una
volta ad un modo abbastanza impreciso di affrontare tale problematica. Il
provvedimento sarebbe mirato alla regolazione in entrata e in uscita dei
penitenziari e secondo le stime si prevede che circa 7000 detenuti possano
lasciare le carceri. Ciò si otterrebbe grazie al reinserimento dei
tossicodipendenti tramite le comunità e al rimpatrio degli immigrati nei due
anni finali della pena da scontare, in modo da poter attenuare il
sovraffollamento delle stesse.
Detto
questo, è importante soffermarsi e riflettere su cosa ne sarà della tanto
decantata "certezza del diritto" in Italia. Sembra infatti un
paradosso che uno stato di diritto per eccellenza come il nostro, i cui codici
civile e penale sono costellati da un groviglio infinito di norme e
disposizioni, non possa garantire la certezza della pena, e aggiungerei , in
condizioni umane per coloro che commettono un reato.
Sia
chiaro, non si vuole fare semplicemente una critica indiscriminata a tale
provvedimento. Al suo interno esso contiene anche spunti interessanti, ad
esempio il disegno di legge riguardante la giustizia civile per sveltire i
cosiddetti "procedimenti lumaca" grazie a riti più snelli, mirati a
ridurre i processi da tre a un anno, e l’introduzione di un giudice unico in appello
per determinate materie. La lentezza della giustizia è d’altronde uno degli ostacoli
più rilevanti agli investimenti economici stranieri nel nostro paese.
È
bene però sottolineare che spesso questi tipi di provvedimenti, come ad
esempio la legge del 2006 sull'indulto, non sortiscono l'effetto sperato, ma
anzi si rivelano inefficaci se si confrontano le situazioni carcerarie pre e
post normativa.
Risulta
doveroso quindi ricordare al ministro Cancellieri e al Governo Letta, che in
Italia abbiamo all'incirca una quarantina di istituti penitenziari compiuti ma
inutilizzati, e in alcuni casi persino vigilati. Il loro utilizzo potrebbe
senza dubbio restituire certezza del diritto al nostro paese e certezza di una
pena da scontare in condizioni umane per buona parte dei detenuti o per coloro
che versano in condizioni fisiche disagiate nelle carceri. Sarebbe quindi il
caso di fare in modo che, almeno su questa problematica, il nostro paese non
venga etichettato anche questa volta come sprecone.
Nicolò Guicciardi
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