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18 dicembre 2013

Certezza del diritto, paradosso italiano

Il Governo ha oggi approvato il decreto riguardante l'emergenza in cui versano i nostri istituti penitenziari e la sensazione è che si sia di fronte ancora una volta ad un modo abbastanza impreciso di affrontare tale problematica. Il provvedimento sarebbe mirato alla regolazione in entrata e in uscita dei penitenziari e secondo le stime si prevede che circa 7000 detenuti possano lasciare le carceri. Ciò si otterrebbe grazie al reinserimento dei tossicodipendenti tramite le comunità e al rimpatrio degli immigrati nei due anni finali della pena da scontare, in modo da poter attenuare il sovraffollamento delle stesse.
Detto questo, è importante soffermarsi e riflettere su cosa ne sarà della tanto decantata "certezza del diritto" in Italia. Sembra infatti un paradosso che uno stato di diritto per eccellenza come il nostro, i cui codici civile e penale sono costellati da un groviglio infinito di norme e disposizioni, non possa garantire la certezza della pena, e aggiungerei , in condizioni umane per coloro che commettono un reato.
Sia chiaro, non si vuole fare semplicemente una critica indiscriminata a tale provvedimento. Al suo interno esso contiene anche spunti interessanti, ad esempio il disegno di legge riguardante la giustizia civile per sveltire i cosiddetti "procedimenti lumaca" grazie a riti più snelli, mirati a ridurre i processi da tre a un anno, e l’introduzione di un giudice unico in appello per determinate materie. La lentezza della giustizia è d’altronde uno degli ostacoli più rilevanti agli investimenti economici stranieri nel nostro paese.
È bene però sottolineare che spesso questi tipi di provvedimenti, come ad esempio la legge del 2006 sull'indulto, non sortiscono l'effetto sperato, ma anzi si rivelano inefficaci se si confrontano le situazioni carcerarie pre e post normativa.
Risulta doveroso quindi ricordare al ministro Cancellieri e al Governo Letta, che in Italia abbiamo all'incirca una quarantina di istituti penitenziari compiuti ma inutilizzati, e in alcuni casi persino vigilati. Il loro utilizzo potrebbe senza dubbio restituire certezza del diritto al nostro paese e certezza di una pena da scontare in condizioni umane per buona parte dei detenuti o per coloro che versano in condizioni fisiche disagiate nelle carceri. Sarebbe quindi il caso di fare in modo che, almeno su questa problematica, il nostro paese non venga etichettato anche questa volta come sprecone.



Nicolò Guicciardi

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