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22 dicembre 2013

Se In Italia ci fosse una Margaret Thatcher…


Poco più di otto mesi fa, all’età di 87 anni, si spegneva una delle figure più intriganti della seconda metà del XX secolo, nonché unica donna a diventare “Primo Ministro” britannico: Margaret Thatcher. Il mondo le rese i giusti onori (nonostante in molti festeggiarono la morte della “Dama di Ferro”) e moltissimi articoli, commenti e discussioni riaccesero il dibattito sulle politiche “monetariste” applicate dalla “Baronessa” nel corso degli anni ’80.

Lasciando da parte alcune scelte prese da parte dei governi Thatcher, soprattutto in ambito di Difesa (da ricordare il braccio di ferro sia contro l’Argentina per il controllo delle Falkland che contro l’IRA, organizzazione terroristica irlandese che si conclusero con la vittoria politica della Thatcher) ed evitando di inoltrarci troppo nel pensiero morale della “Iron Lady”, ci focalizziamo sull’aspetto più economico del “Thatcherismo”, che molto si rifà alle teorie neo-liberiste sviluppate nel corso degli anni ’60-’70 da molti economisti, tra cui Von Hayek e Friedman e che, secondo il sottoscritto, dovrebbero venir meno strumentalizzate sia dai media che dalla politica Italiana.

Guardando più da vicino lo sviluppo dell’economia del Regno Unito nel corso degli anni ’80 del secondo appena trascorso (dati ONS – Ufficio di Statistica Nazionale del Regno Unito) quando la Thatcher salì al potere l’inflazione era sopra al 20% mentre i disoccupati erano circa 1 milione e mezzo. Nel 1982, anno in cui le misure Thatcher incominciarono a fare effetto, l’inflazione era scesa al 6,5% mentre i disoccupati erano quasi raddoppiati rispetto a tre anni prima. Nel 1989, ultimo anno di governo Thatcheriano, l’inflazione era all’8% e i disoccupati tornati a quasi un milione e mezzo, dato che nel corso degli anni ’90 sarà destinato a ridursi ulteriormente grazie alle riforme del lavoro avviate proprio dalla “Dama di Ferro”. Oltre a questo, va tenuto conto come il debito pubblico del Regno Unito, grazie ad un aggressiva opera di privatizzazioni, liberalizzazioni, riduzione del cuneo fiscale (tasse dirette ed indirette) e tagli alla spesa improduttiva (a voi Italiani tutti questi temi dovrebbero suonare familiari, giusto?) si ridusse da circa il 45% al 28% del Prodotto Interno Lordo. I dati macro-economici danno quindi ragione alle politiche liberiste (secondo alcuni critici anche “iper-liberiste”) della Baronessa Thatcher.

Tra le varie misure economiche varate dall’ex “Prime Minister” (prima ed unica donna a ricoprire tale ruolo) un ingrediente di fondamentale importanza per il rilancio dell’economia britannica fu il massiccio programma di privatizzazioni avviato nel corso del quinquennio 1983-1987. Tale programma (esattamente l’esatto contrario, avete letto bene, l’esatto contrario di quello fatto dai Governi Italiani nel corso di questi ultimi anni) prevedeva la vendita di moltissime società dello stato (tra cui alcuni monopoli di stato) per una cifra attorno a 29 miliardi di Sterline e la vendita di milioni di residenze pubbliche per circa 18 miliardi di Sterline. Questo ovviamente seguito da liberalizzazioni di ampi settori del mercato e da una riduzione delle tasse (specialmente quelle dirette). Nel corso di quegli anni il Regno Unito privatizzò la British Airways, compagnia aerea di bandiera britannica, ad oggi, 26 anni dopo la completa privatizzazione, una delle più importanti compagnie al mondo con un introito di circa 11 miliardi di Sterline (circa 13 miliardi di Euro). Una decisione leggermente diversa da quella presa dal Governo Berlusconi nel 2008 che consegnò nelle mani dei suoi amici imprenditori (esempio classico del cattivo capitalismo italiano) una compagnia in via di fallimento e facendo pagare ai contribuenti (cioè noi) circa 4 miliardi di Euro per salvare una compagnia che dopo nemmeno 5 anni è stata nuovamente salvata dal governo Letta a causa delle costanti perdite.

Il programma Thatcher non si fermò però solamente a poche o “finte” privatizzazioni (ovvio riferimento alle ultime false privatizzazioni del governo Letta). La sua visione liberale dell’economia e la sua convinzione che lo stato dovesse svolgere solo ed esclusivamente un’opera di garante della nazione senza troppe intromissioni in ambito industriale la portò a vendere e a privatizzare una cinquantina di aziende che operavano in tutti i settori: dal gas, al petrolio, dall’elettricità all’acqua, dalle telecomunicazioni ad aziende automobilistiche e motori aeronautici e marini (Jaguar e Rolls Royce). Queste mosse politiche ed economiche si rilevarono di una lungimiranza incredibile e garantirono al paese un ventennio di tranquillità economica (dalla fine degli anni ’80 allo scoppio della crisi finanziaria). Come accennato in precedenza le privatizzazioni furono solo uno delle centinaia di provvedimenti dalla Thatcher per far ripartire un’economia al collasso ma svolsero un ruolo di fondamentale importante e nel corso degli anni fruttarono ai cittadini britannici diversi vantaggi tra cui minori costi (diretti ed indiretti), servizi migliori e molti posti di lavoro. Le privatizzazioni della Thatcher infatti aiutarono notevolmente lo sviluppo di giganti pubblici, controllati e gestiti in modo relativamente efficiente trasformando molte di quelle società ad essere attuali leader mondiali.

Se in Italia ci fosse una Thatcher, gli Italiani starebbero sicuramente meglio e alcuni tabù cronici tipici del capitalismo provinciale, corrotto e malato italiano alimentati da tutta la classe dirigente (manager, sindacati, politici) e dalla stragrande maggioranza dei media verrebbero meno consegnando agli Italiani possibilità economiche senza precedenti. Le politiche economiche liberali in Italia non sono mai state sviluppate in modo concreto e sensato. Per il bene degli Italiani è giunto davvero il momento di provarci. Ora o (forse) mai più.


Giovanni Caccavello

3 commenti:

  1. Come posso collaborare con voi? Ho scritto 2 mail ma non ho ricevuto risposta

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